Norbert Niederkofler: “Il km zero non esiste, valorizzo i prodotti di montagna”

Lo chef del tristellato St. Hubertus, in Alta Badia, racconta il progetto internazionale Cook the Mountain. Attraverso il controllo della filiera, viene promossa la biodiversità dell’arco alpino

Norbert_Niederkofler, executive chef tre stelle Michelin del ristorante St. Hubertus
Norbert Niederkofler, chef tre stelle Michelin del ristorante St. Hubertus, in Alta Badia (©Daniel Töchterle)

Norbert Niederkofler è l’executive chef del ristorante St. Hubertus, presso l’Hotel Rosa Alpina, a San Cassiano, Alta Badia. Uno degli 11 tre stelle Michelin d’Italia. La sua cucina è costruita seguendo la filosofia Cook the Mountain, un progetto internazionale che punta a valorizzare la sostenibilità e biodiversità dei prodotti dell’arco alpino, evitando sprechi. E basato sul controllo di una filiera. ”Ho rinunciato a tutte le verdure da serra, non utilizzo agrumi per rimanere sul territorio, niente olio di oliva. Neanche il sottovuoto. È stato difficile perché c’era da sensibilizzare la clientela, produttori e contadini. E a 1700 metri devi costruirti una filiera complessa”.

La cucina come punto di partenza per una rivoluzione sostenibile: St. Hubertus è il primo ristorante al mondo tre stelle Michelin che punta su un concetto territoriale, per valorizzare la biodiversità dei prodotti della montagna. Che cos’è il progetto internazionale Cook the Mountain?

Lo chef Norbert Niederkofler, foraging (©Daniel Töchterle)
Norbert Niederkofler, foraging (©Daniel Töchterle)

Il progetto nasce nel 2008, in tempi non sospetti. Nel 2007 avevamo preso la seconda stella come primo ristorante dell’arco alpino, ma con una cucina totalmente diversa. Non ero contento e ho elaborato il concetto di Cook the Mountain: a oggi non è cambiato di una virgola. Mi appoggio al territorio: io parlo di cultura di montagna, il km zero per me non esiste e non funziona.

Siamo in Val Badia, lo zafferano arriva dalla Val Venosta: è Alto Adige, zona alpina, ma sempre a 180 km! Mi riferisco all’intero arco alpino, Austria compresa, certo non il Perù! Ho rinunciato a tutte le verdure da serra, non uso agrumi per rimanere sul territorio, niente olio di oliva. Neanche il sottovuoto. È stato difficile perché c’era da sensibilizzare la clientela, produttori e contadini. E poi devi costruirti una filiera.

Come funziona la filiera di questi “artigiani” del territorio?

La filiera ha oggi 40-50 produttori, di cui una ventina grossi. Lavorando senza serra, abbiamo dovuto dividerli anche per altitudine. San Cassiano è a 1700 metri: in primavera è molto indietro nel raccolto, quindi abbiamo dovuto prendere fornitori da altitudini più basse. Costruirla è stata un’operazione complessa. Ci sono voluti cinque anni. Stipuliamo patti con i contadini secondo i quali prendiamo tutto il prodotto.

Quindi serve un’organizzazione dello stoccaggio e della conservazione. Di qui anche l’uso tradizionale delle fermentazioni. Il mantenimento delle verdure nella sabbia, in cantina, come ai vecchi tempi. O sotto terra, coperte con teli e fieno d’inverno e tirate fuori quando servono. Un lavoro molto impegnativo.

Alla Fiera del Libro di Francoforte presenterà il suo nuovo libro, Cook the Mountain – The nature around you, che racconterà storie di prodotti e di produttori stampato su Applepaper, la Carta-mela prodotta dall’azienda bolzanina Frumat. Valorizzare gli scarti è uno dei cardini della cucina di Norbert Niederkofler?

Marshmallow, sorbetto di mela verde, un dessert di Niederkofler (credits Alex Moling)
Norbert Niederkofler, Marshmallow, sorbetto di mela verde (©Alex Moling)

In realtà cerchiamo di elaborare le ricette al contrario. Ovvero che non producano scarti in modo da non avere problemi: possiamo renderci la vita più facile. Con Applepaper da 8-10 anni stampiamo tutti i menu del St. Hubertus e del nuovo ristorante, AlpiNN, aperto con Mo-Food. È un  prodotto bellissimo.

Sappiamo che ci sono oltre duemila varietà di mele (lo chef ha collaborato anche con Kiku Apples, ndr), anche se poi se ne utilizzano 24. Ci sono antiche varietà che si possono usare in modo diverso. Come del resto le pere: anche con lo stoccaggio diventano buonissime.

La parte vegetale è dominante nella sua cucina, circa 500 prodotti diversi, molte sono antiche varietà di frutta e verdura dimenticate. Cosa offre di particolare il territorio che va scoperto?

Un piatto di Norbert Niederkofler, Insalata di montagna (©Alex Moling)
Norbert Niederkofler, Insalata di montagna (©Alex Moling)

Come tutti i territori, ci sono varietà non più utilizzate perché magari è scomodo lavorarle. Valorizzo, per esempio, tutti i tipi di radicchio. Così le carote: ne abbiamo 20-25 varietà diverse. Carote baby all’inizio, di cui ho disponibilità per un mese e mezzo, poi si cambia: è questa la biodiversità. La carota arancione, tra l’altro, non è quella originaria che invece è bianca, gialla e viola. Per noi è importante poi avere certe qualità in autunno, per utilizzarle anche durante l’inverno.

Come i nostri nonni, la verdura giusta in ogni periodo dell’anno. In questo modo si possono evitare sprechi e il lavoro di stoccaggio. E si riesce a tenere fertile il terreno. Nutrire 9 miliardi di persone alla fine lo puoi fare solo con i piccoli produttori. E non con le monocolture che hanno grande resa nei primi anni, ma poi fai fatica.

Una visione naturale al 100%, niente prodotti da serra, ma anche niente plastica?

Cerchiamo di rinunciare il più possibile alla plastica nuova: oggi l’obiettivo è cercare di tirarla fuori dal mare. Dobbiamo usare quella riciclabile o il prodotto compostabile.

Quali sorprese riserverà la carta autunnale?

Norbert Niederkofle propone una cucina naturale e sostenibile (©Daniel Töchterle)
Norbert Niederkofler propone una cucina sostenibile (©Daniel Töchterle)

In autunno gran parte sarà dedicata ai funghi, che sono sottovalutati. Lavoriamo con due micologi. Tre o quattro volte all’anno andiamo a raccoglierli insieme e ci fanno vedere prodotti incredibili. Abbiamo funghi che se messi sott’olio sanno di aglio.

Lavoriamo con una quarantina di varietà e ognuna, in base alla lavorazione, dà sapori diversi. Poi avremo sicuramente le fermentazioni. Da noi sono sempre state utilizzate, pensiamo ai crauti. I marinai con queste sono riunisciti a eliminare lo scorbuto. Io nella natura di montagna trovo tutto, l’acidità, la sapidità. E con il giusto rispetto, abbiamo poco bisogno della chimica.

C’è un piatto che la identifica?

I piatti da noi sono costruiti in modo diverso: una volta chiamavi e ti facevi portare la materia prima. Oggi dobbiamo aspettare cosa arriva. Alcuni naturalmente seguono la tradizione. In autunno facciamo tanta verdura alla griglia, con un miso preparato da noi con i ceci. Produciamo anche la salsa di soia a base di lenticchie di montagna. In estate vengono fatti tanti kombucha a base di frutta e verdura.

Alla fine non è stato il Noma a insegnarci le fermentazioni, sono della tradizione?

Erbe (©DanielTöchterle)
Erbe di montagna (©Daniel Töchterle)

Quattro anni fa ho organizzato un evento di Cook the Mountain per far capire che esistevano da tempo. C’era un collega australiano, uno canadese, uno peruviano, lo chef Pedro Miguel Schiaffino, Valeria Mosca (esperta di foraging e di fermentazioni, ndr), e altri. Ventimila anni fa hanno trovato in Australia le prime fermentazioni. In Perù almeno un paio di migliaia di anni fa, così per il Canada.

Noi lavoriamo con il Centro di Sperimentazione Laimburg su questo tema. Oggi non c’è una regolamentazione, è tutta zona grigia. Sappiamo che sono sane, ma abbiamo bisogno di normative e regole.

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