La Gdo spinge verso un disciplinare unico per Dop e Igp

Un disciplinare unico per Dop e Igp e la possibilità di rivedere l’articolo 62 che regola i rapporti tra industria e distribuzione nell’ambito dei vendita dei prodotti agroalimentari imponendo, nella versione attuale pagamenti a 30 giorni per i freschi e 60 giorni per gli altri prodotti. Una situazione che se da un lato punta a tutelare i produttori dai ritardi nei pagamenti delle piccole e medie aziende, dall’altro rappresenta una sorta di cappio al collo per i big retailer italiani che si trovano così a fare notevoli sforzi di liquidità attesi peraltro i tassi dei finanziamenti bancari meno favorevoli rispetto a quelli offerti ai competitor europei dagli istituti di credito oltre confine.

I due punti sono gli argomenti portati messi sul piatto dalla Gdo italiana nel corso dell’incontro a porte chiuse con il Ministro Martina che si è tenuto nei giorni scorsi con l’obiettivo di istituire un tavolo permanente per la promozione del made in Italy e il sostegno dell’export attraverso, fra l’altro, la creazione di piattaforme logistico-distributive all’estero.

Abbiamo chiesto a Francesco Pugliese, presidente di Adm, l’associazione della distribuzione moderna, di Core, l’alleanza strategica tra Colruyt, Conad, Coop Suisse e Rewe Group; nonché ad di Conad, e da quest’anno anche presidente di Fruit Innovation che debutta a Milano dal 20 al 22 maggio, di spiegarci, in concreto le richieste della Gdo.

«Pensiamo che ci voglia un disciplinare unico nazionale per Dop e Igp – ci ha spiegato all’indomani dell’incontro –. Che senso ha che le regole per definire e classificare Dop e Igp siano diverse per ogni prodotto? Questo rende la distribuzione molto complicata al punto che per i big retailer risulta più conveniente comprare questi prodotti senza bollino per apporvi sopra quello della private label perché altrimenti sarebbe una dannazione in termini di carico burocratico. Un disciplinare unico inoltre renderebbe più agevole la tutela italiana delle sue eccellenze».

Qual è stato il riscontro avuto dal Ministro Martina?

«Si è dichiarato disponibile ad una semplificazione in questo senso».

Che ci dice sulla possibilità di una modifica all’art. 62?

«Che la situazione è diventata paradossale perché da un lato pesa sulla Gdo che è, invece una garanzia per i produttori, mentre dall’altro non raggiunge l’obiettivo di tutelare i più deboli perché di fatto è totalmente inapplicata dal canale della ristorazione. Occorre intervenire per riequilibrare le cose di modo che i forti discutano con i forti e i deboli siano tutelati».

In che senso?

«Nella filiera, oggi, quelli che ci perdono sono da un lato gli agricoltori e dall’altro la Gdo. Quelli che guadagnano di più sono gli attori in mezzo. In questo senso occorre promuovere dei cambiamenti che vadano nella direzione della semplificazione e dell’aggregazione per avere una più equa ripartizione del valore».

In che modo?

«Il produttore che vuole allargare deve scendere a valle e industrializzarsi e non cedere il prodotto a dei confezionatori. Se vogliono crescere, i produttori devono diventare essi stessi dei confezionatori. Noi non vogliamo snaturare questo meccanismo e diventare noi gli industriali nel mondo dell’ortofrutta ma se ci costringono a farlo siamo pronti come è stata pronta, a suo tempo, tutta la distribuzione del Nord-Europa a e ci prenderemo dei pezzi di industria».

Al tavolo ministeriale si è parlato anche di “Rete del lavoro agricolo di qualità”.

«Il ministero ci ha chiesto di introdurre questa certificazione ossia di escludere i fornitori che si avvalgono di lavoro illegale. Anche su questo ci siamo dichiarati disponibili dal momento che la produzione illegale ci fa concorrenza a prezzi bassi perché chi produce illegalmente non è mai strutturato per accedere alla Gdo

In conclusione, si ritiene soddisfatto da questo primo incontro?

«Si perché dimostra una presa di coscienza della classe politica e del governo che il made in Italy è un insieme di tante cose e che non esiste nessuno che ha tutte queste cose messe insieme sotto un unico brand. O meglio, qualcuno esiste ed è la grande distribuzione e forse, non è sbagliato pensare che per arrivare nelle catene estere i prodotti di di private label della Gdo possano essere il primo veicolo per farlo».

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