Enrico Bartolini: “Tuteliamo le piccole produzioni a rischio estinzione” #vocidellortofrutta

Lo chef tristellato racconta la scoperta della melanzana piccola genovese, protagonista di un piatto in carta, il progetto di un orto in fase di realizzazione nell'Oltrepò Pavese e le esperienze maturate con i suoi ristoranti in Oriente, da Dubai a Hong Kong

Lo chef Enrico Bartolini (credits Paolo Chiodini)
Enrico Bartolini (credits Paolo Chiodini)

Come nel noto film di Giuseppe Tornatore, Enrico Bartolini è l’Uomo delle stelle: 12 i riconoscimenti Michelin tra tutti suoi ristoranti, di cui tre conquistati con il locale che porta il suo nome al Mudec di Milano, e che presto sarà rifornito da un orto in fase di realizzazione nell’Oltrepò Pavese, oltre alla stella verde per l’impegno nella sostenibilità.

Molte varietà ortofrutticole, pur di eccezionale qualità, sono messe fuori mercato per problemi di calibro, estetici. Gli chef stellati possono invece sostenere questa produzione, magari da piccoli agricoltori?

Melanzana moderna alla brace, chef Enrico Bartolini (credits Rossana Brancato)
Melanzana moderna alla brace (credits Rossana Brancato)

Noi cuochi possiamo sicuramente avere un ruolo importante sia nella tutela di alcune piccole produzioni agricole che rischiano di scomparire, sia nel sostenere i piccoli artigiani del cibo, intesi sia come agricoltori, ma anche allevatori, pescatori, produttori, instaurando con loro dei rapporti continuativi, fidelizzandoli come fornitori e quindi sostenendoli economicamente, spronandoli a continuare nel loro prezioso lavoro. Qualche anno fa ho scoperto la melanzana piccola genovese, una varietà molto particolare che mi ha colpito per la dolcezza della sua polpa. Ne è nato un piatto che ho in carta da diversi anni, Melanzana moderna alla brace che racconta anche la mia passione per la cucina alla brace.

La distintività è fondamentale nell’alta cucina:  molti chef stellati si affidano a consulenti dell’ortofrutta per avere produzioni di nicchia o dispongono di un orto, lei come lavora per avere la materia prima?

In tutti i nostri ristoranti, dal Piemonte alla Toscana passando per Milano, Bergamo, Venezia e la Sardegna, i menu celebrano stagionalmente le migliori primizie e i frutti della terra. Alcuni chef del team hanno la fortuna di approvvigionarsi direttamente dal loro orto, altri dai mercati cittadini che offrono ogni giorno prodotti freschissimi e saporiti. Sto realizzando un orto nell’Oltrepò Pavese che rifornirà il nostro ristorante tre stelle al Mudec.  

Il nuovo trend  globale è la vegetalizzazione dei consumi, spinta dalla transizione green e dalla diffusione dell’healthy food: come questo cambiamento viene declinato nei suoi piatti?

Nella mia cucina c’è da sempre molta attenzione alle verdure, agli ortaggi e alla frutta, fanno parte della nostra cultura gastronomica e del nostro immenso patrimonio agroalimentare così ricco di biodiversità. Il profumo di un’albicocca o di un limone appena colti, la croccantezza di un’insalata fresca che arriva in cucina ancora umida della brina o della rugiada del mattino o la sapidità di un pomodoro maturato al sole… Sta al cuoco rispettare e valorizzare il gusto che hanno materie prime di qualità per generare piacere per il palato. Una cucina più ricca di verdura e ortaggi è sicuramente nel futuro dell’alimentazione in chiave sostenibile: è importante educare le nuove generazioni al consumo consapevole di frutta e verdura.

La produzione plant-based dalla carne si sta spostando a pesce, formaggi, uova vegetali: sarebbe un modo per stimolare la sua creatività o sostiene la sovranità alimentare?

Ho studiato alcuni di questi nuovi alimenti plant-based, li ho visti produrre e li ho assaggiati. Credo sia un’evoluzione che rispetta un tema globale e molto attuale legato alla sostenibilità e ai metodi di allevamento. Le scelte che compiamo a tavola hanno sicuramente un impatto sul pianeta. Quindi è giusto affrontare l’argomento, soprattutto per un consumo di grandi volumi, ma non vedo nei prossimi trent’anni una rivoluzione così importante. Ci saranno degli apporti di ingredienti innovativi, ma al momento non riesco a immaginarli.

Lei gestisce anche ristoranti a Dubai e Hong Kong: come viene vista la produzione ortofrutticola made in Italy?

Patata della Sila affumicata al fieno, chef Enrico Bartolini (credits Fabrizio Cicconi)
Patata della Sila affumicata al fieno (credits Fabrizio Cicconi)

L’Italia esercita un grande fascino all’estero, in tutte le sue espressioni, dall’arte alla moda alla cucina, e anche i prodotti made in Italy sono considerati come qualcosa di molto pregiato. Alcuni piatti caratteristici della nostra cucina, penso a un’insalata caprese piuttosto che un semplice spaghetto al pomodoro e basilico, sono delle vere e proprie icone che non possono mancare nei ristoranti di cucina italiana all’estero.

Robotizzazione e intelligenza artificiale stanno cambiando e cambieranno molti aspetti dell’agroalimentare: il made in Italy si fonda sulla creatività. Riuscirà a resistere a questa spinta globale?

Le innovazioni tecnologiche più significative sono le connessioni delle apparecchiature elettriche a una linea wi-fi o a Internet. La digitalizzazione e il controllo delle apparecchiature le rende più precise. Se, grazie alla tecnologia, si riuscisse a perfezionare non solo la precisione ma anche il “sentimento” della parte robotica, allora anche le apparecchiature, dal forno ai mantecatori, agli essiccatori avranno un gran successo. L’avvento della tecnologia facilita il lavoro, lo ottimizza, permette di programmarlo, fintanto che c’è il controllo umano e professionale. Quando si fanno grossi volumi e grande qualità nel comparto culinario, l’avvento della tecnologia può raffreddare un po’ il sentimento che c’è a tavola e quindi emozionare un po’ meno perché testa, cuore e mani devono essere in armonia, altrimenti l’esperienza rimane fredda e non facilità l’emotività.

 

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