Gli chef stellati si affidano ai consulenti dell’ortofrutta

Nell’alta cucina la differenziazione si ottiene anche con aromatiche dell’orto e vegetali di nicchia, fermentati in chiave healthy per dare sapori sorpresa. E ci si affida a intermediari per avere il meglio made in Italy. L’esempio di Raffaele Lenzi, executive chef del ristorante Al Lago dell’hotel Il Sereno

Lo chef Raffaele Lenzi utilizza un orto a km zero dal ristorante Al Lago
Lo chef Raffaele Lenzi utilizza un orto a km zero

Manca il lavoro? Qualcuno vale oro. Tra gli stellati si sta imponendo una nuova figura, quella del consultant in ortofrutta, capace di fare da mediatore tra aziende agricole di nicchia e le esigenze di grandi strutture di ristorazione che vogliono anticipare le tendenze. La vegetalizzazione dell’alimentazione è ormai uno dei trend globali e la si può ben misurare nell’alta cucina. Qui conta differenziarsi il più possibile e, oltre alla bravura dello chef, una grossa parte la fa la materia prima, in grado di sorprendere il commensale, dare nuove experience di sapori. Esempi in questa direzione che Fresh Point ha raccontato sono quelli di Antonio Guida, chef del ristorante Seta del Mandarin Oriental Hotel; Davide Oldani, che si è affidato alle erbe aromatiche prodotte in aeroponica da un’azienda di vertical farming. Una conferma arriva da Raffaele Lenzi, alla guida del ristorante Al Lago, del prestigioso resort Il Sereno, a Torno, hotel cinque stelle lusso con terrazza sul Lago di Como, di proprietà della Famiglia Contreras, disegnato dall’archistar Patricia Urquiola. Uno dei gioielli della catena alberghiera di Sereno Hotels che in Italia comprende anche Villa Pliniana.

L’ortofrutta, un tempo relegata a ruolo di comprimaria negli stellati, oggi ha bisogno anche dei consulenti. Qualche chef stellato li chiama scherzosamente i “pusher”.

Oggi i fornitori di ortofrutta sono più indispensabili che mai. Quest’affermazione vale il doppio per l’alta cucina, dove la ricerca raggiunge livelli altissimi. In questo senso è bene affidarsi a persone specializzate per la ricerca di prodotti di nicchia. Spesso il loro lavoro da “consulenti” si rivela fondamentale, perché hanno più esperienza in merito e più tempo da spendere nella ricerca. Ogni chef che raggiunge grandi successi dev’essere grato alla propria brigata e alle realtà con le quali collabora quotidianamente, compresi i fornitori, che troppo spesso sono poco considerati.

Quali sono le ultime scoperte?

Lo shiso coltivato nell'orto, detto anche basilico giapponese
Lo shiso, detto anche basilico giapponese

La radice di taro, simile alla manioca: la usano in Corea nelle zuppe. Deve essere mangiata cotta, è molto amidosa. Ha forma sferica, la utilizziamo come se fosse una rapa. Ci arriva da un contadino che coltiva spinaci. Nelle gelaterie viene usata come stabilizzante e addensante, come la carruba.

Altro esempio è la corteccia di yucca, ha indice glicemico nettamente più basso delle patate, un po’ come la radice di taro. Ha buccia nera, all’interno è bianca. Noi la peliamo e ricreiamo la parte nera con una tempura al carbone vegetale. Quindi la friggiamo, la ricopriamo di crema di aglio nero – una via di mezzo tra fermentazione e disidratazione – e melanzane cotte sotto limone e la guarniamo con rapanelli crudi, crescione d’acqua ed erba luigia.

Utilizzo anche il kiwi giallo: alcuni non amano il kiwi verde perché troppo acido, questo è più dolce. È prodotto in Sicilia da una piccola azienda agricola. Lo faccio fermentare e preparo una gelatina per il minestrone di frutta e verdura, un dessert freddo del menu Vegetali, tuberi e radici (uno dei tre percorsi degustazione, che non prevede l’utilizzo di proteine animali). Oppure lo disidratiamo per un tacos servito con semi di sesamo bianchi, cetriolo e kiwi.

Un altro elemento emergente è il ruolo sempre più importante delle aromatiche, coltivate in un orto vicino al ristorante, o proveniente da serre hi-tech, idroponiche o aeroponiche.

Minestrone di frutta e verdura, un dolce di Raffaele Lenzi
Minestrone di frutta e verdura

Bisogna dare merito a Enrico Crippa: senza di lui tante cose in Italia non sarebbero state fatte. Le erbe aromatiche sono come i bambini: si deve avere estrema cura. Un piatto può cambiare aroma semplicemente con una foglia, senza avere una necessaria preparazione di mise en place. È il sapore intrinseco, la semplicità più assoluta. Io adoro per esempio l’erba luigia, chiamata anche limoncina.

Mi appoggio a un orto-giardino, situato a 1 km dall’albergo e gestito da un agronomo, e ho una collaborazione esterna affidata all’azienda Floricoltura Pironi di Vertemate (Co).

Coltiviamo una cinquantina di varietà tra erbe e aromatiche, che guardano all’area asiatica come mizuna, coriandolo e tatsoi, ma anche alla nostra tradizione, come basilico-genovese, basilico-lattuga, pimpinella, melissa e lattuga dei minatori.  Un’insalata particolare che coltiviamo, e che cresce nelle zone fredde, si chiama Ficoidea glaciale: la seminiamo in inverno e la utilizziamo nel periodo estivo. È una foglia carnosa, che sembra insalata e che quando la si mangia è acqua. La utilizziamo all’interno di insalate, in un piatto come pane, pomodoro e misticanza e la serviamo dopo il riso al garum di polline, per agevolare la pulizia della bocca.

La proteina vegetale comincia ad avere un suo appeal anche in menu stellati.

Lo chef stelalto Raffaele Lenzi
Lo chef Raffaele Lenzi

Da un paio d’anni abbiamo apportato un upgrade soprattutto per il mondo della proteina vegetale: un esempio sono seitan e tempeh. Oggi, abbiamo per esempio un nuovo piatto in carta, il tempeh di fagioli dall’occhio, cipolle di Montoro e finferli sottaceto. Trovo grande soddisfazione nel cucinare questi piatti: il fungo Rhizopus, che innesca la fermentazione fa compattare il legume, dà sensazione di consistenza. Il tempeh lo faccio con quasi tutti i legumi, come i fagioli azuki. Il fagiolo dall’occhio è piccolo, molto buono, è facile da utilizzare e trasformare e ha un appeal dato dalla sua cromaticità.

Le fermentazione, tecnica antichissima, sta avendo una seconda vita: da una parte la spinta del danese Noma, più volte premiato miglior ristorante al mondo; dall’altra le scoperte recenti, legate al microbiota, in chiave salutistica, e la domanda di nuovi sapori.

Io uso la fermentazione come mezzo per dare sapori e consistenze diverse all’interno di un piatto, non come mantra o cavallo di battaglia. Sto facendo alcune preparazioni di soia con il koji (la muffa nobile che nella cucina asiatica e giapponese serve per produrre anche sakè, la salsa di soia, il mirin). Faccio un gelato al koji e lo servo come spuma di birra. La gestione delle temperature è fondamentale.

Ha senso il km zero?

Tempeh di legumi di Raffaele Lenzi
Tempeh di legumi

Per me il km zero è l’Italia in generale: non posso pensare di non usare un friariello di Napoli al momento giusto. Tra le eccellenze che utilizzo, il Carciofo sardo spinoso Dop, il peperone di Carmagnola, i friarielli campani, l’Asparago bianco di Bassano Dop, le melanzane striate e le peschiole.

Ho creato una ricetta che valorizza l’Italia in modo straordinario. Si tratta degli Spaghetti all’olio d’olive, piatto che farò fatica a togliere dalla carta. Non ho mai lavorato in Francia e uso poco il burro. L’oliva fa parte del nostro patrimonio e ho pensato a un piatto che la esaltasse. Al gusto si ha una percezione di olio e olive: più olive che olio. Facciamo un estratto di due cultivar, Bella di Cerignola e Nocellara, e lo emulsioniamo con due oli diversi, uno di Domaso che serviamo anche a tavola, e un olio campano delle cantine Riccio, più delicato, un blend. Poi usiamo basilico in tre forme: thai, più morbido e croccante, in semi, genovese e greco.

Tanti nutrizionisti, di cui anche il ristorante Al Lago si è avvalso, chiedono l’uso della frutta come dessert.

Uso la frutta nei piatti quasi come una verdura dolce. Lavoro il bergamotto di Calabria d’inverno sotto forma di confettura e composta e decido poi quando usarlo: facciamo un succo e una crema molto amara. Diversifichiamo per il contenuto, come per il melograno. Oltre al bergamotto, sono molto legato alle pesche e alle clementine. Con queste ultime, d’inverno, preparo la classica confettura o composta usando tutto, sia il succo che la scorza.

 

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