La rivoluzione di Nutrizionisti tra i carrelli #vocidellortofrutta

Il punto di vendita diventa anche punto di informazione in tema di salute, antispreco e preparazione alimentare. L’Associazione italiana nutrizionisti in cucina propone alla gdo un nuovo modo di concepire il negozio. Buyer e addetti al reparto coinvolti in attività di formazione, come spiega il presidente Domenicantonio Galatà

Domenicantonio Galatà, presidente Associazione italiana nutrizionisti in cucina
Domenicantonio Galatà, presidente Ainc

La distintività in un’insegna può essere giocata con la carta dell’informazione, mettendo insieme contenuti di salute, sostenibilità e di cucina. Si chiama Nutrizionisti tra i carrelli la proposta fatta al retail dall’Associazione italiana nutrizionisti in cucina (Ainc), che coinvolge una cinquantina di soci in tutta Italia, tutti biologi nutrizionisti, e ha un Comitato scientifico che comprende anche medici e tecnologi. Ci spiega il progetto Domenicantonio Galatà, presidente Ainc dal 2017.

Da dove parte il progetto?

Il post Covid ha fatto percepire come frutta e verdura siano un punto cardine della alimentazione sana. Oggi il nuovo tema è l’ortofrutta. Nutrizionisti tra i carrelli nasce da un’esigenza percepita da noi nutrizionisti. Ascoltiamo tutti i giorni pazienti che hanno come esigenza quella di seguire una dieta e condurre uno stile di vita sano, ci chiedono dove trovare la lista della frutta e verdura consigliata. Il consumatore ha oggi una serie di domande e necessità sull’ortofrutta: vuole avere informazioni, dal taglio alla conservazione, alla combinazione, ai benefici. Abbiamo catturato questa esigenza in un progetto per la gdo che punta a coinvolgere gli stakeholder.

Quando è partito?

Lo abbiamo proposto nel 2019 ma il Covid lo ha stoppato. Lo stiamo rilanciando oggi con Coralis, abbiamo presentato il progetto alla presidente Eleonora Graffione in occasione di Cibus Connecting. Siamo nella fase interlocutoria, alcuni soci sono interessati a promuoverlo in alcune regioni, Puglia e Campania in primis.

Come funziona?

È un progetto che riguarda l’insegna e deve essere sposato da tutti gli stakeholder. C’è una parte formativa con masterclass e workshop che riguarda buyer, category, addetti al reparto. Per affiancare ai contenuti dei dati di consumo ci siamo affidati a persone con esperienza nella gdo, come Nicola Colabella dell’Osservatorio Freschissimi. Abbiamo pensato anche a una serie di artigiani-produttori, esperti nella loro categoria, come per esempio pasta e riso, per l’abbinamento e per creare sinergie e co-marketing. I temi, trasversali, sono tanti: come riconoscere, per esempio, il prodotto ortofrutticolo a giusta maturazione, per cosa fa bene, quando assumerlo, come cucinarlo senza disperdere i valori nutrizional. Proponiamo quello che per anni abbiamo fatto con chef e pasticceri nelle scuole di cucina.

Facciamo degli esempi pratici di informazioni da veicolare.

In un convegno a Macfrut, per esempio, abbiamo valorizzato il consumo di Cipolla Rossa di Tropea Igp, un prodotto che non conosce stagionalità: raccolta come cipollotto fresco può essere cucinata con le uova; quando è matura si può mangiare a fette in insalata. Ma come va conservata? Solitamente si mette in frigo, quando è tagliata, ma le vitamine idrosolubili in questo modo si disperdono. Va consumata, nel caso mettiamola sottovuoto. L’aglio, invece, può essere tenuto in un sacchetto di carta dentro il frigo. I consumatori vogliono sapere quale frutta è di stagione, come e quando consumarla, le dosi. Noi diamo informazioni affinché il contenuto del prodotto dal punto di vista nutrizionale sia lo stesso al momento del raccolto, anche dopo la cottura. Oggi si può fare la differenza nel reparto offrendo informazioni preziose ai clienti, è una sfida affascinante perché ci riporta a un processo di fidelizzazione stroncato dal Covid. Tutti gli stakeholder devono essere coinvolti in questa progettualità. È un progetto aperto, va costruito insieme, lasciamo margine al retail perché ognuno ha le sue esigenze, un po’ come la dieta.

Altri esempi di contenuti?

Non c’è solo disinformazione sulla frutta esotica, come si taglia, consuma, ma banalmente anche sui carciofi, per esempio. Ne buttiamo il 50%, le parti coriacee come le foglie. Eppure basta mettere i petali in infusione in acqua tiepida per fare un decotto che stimola il fegato, molto benefico. Nessuno sa pulire un asparago, neanche i cuochi e così ne gettiamo via fino al 20%. Si può fare un brodo vegetale con le parti dure, o ancora un’infusione per qualche minuto per bevande fresche, drenanti magari con un po’ di menta. Alcuni buttano la parte della patata che diventa nera, pensando che sia non più commestibile o la scambiano per la formazione di acrilammide: è invece solo ossidazione per l’acido clorogenico e non porta alcun rischio. Di temi ce ne sono infiniti. Pensiamo alle bucce del limone. I limoni Igp di Rocca imperiale hanno una buccia meravigliosa, di 2 cm, si può conservare in frigo e mettere sopra i piatti, dopo averli spremuti. L’avocado siciliano ha per esempio altre peculiarità rispetto a quello sudamericano, ha consistenza diversa, è più adatto per un’insalata piuttosto che da spalmare sul pane. I prodotti ortofrutticoli contengono il 90% delle vitamine di cui necessità il nostro corpo e almeno la metà la disperdiamo con cotture sbagliate. Per esempio lessiamo le zucchine quando sarebbe meglio cuocerle al microonde o friggerle, invece crediamo che il microonde sia cancerogeno e la frittura faccia ingrassare!

C’è insomma una parte importante che riguarda lo spreco alimentare.

Sì, anche se non siamo partiti da lì, certamente seguiamo i trend. Oggi siamo travolti dall’ondata mediatica della sostenibilità ma fino a ieri abbiamo lavorato per portare a tavola la salubrità. La cucina deve avere entrambi i focus.

E sul plant-based?

Le ragioni ambientali e la salvaguardia del pianeta hanno favorito Il plant-based. Temo però che il prossimo tema scientifico saranno gli effetti dei prodotti di glicazione avanzata, cioè le sostanze prodotte durante i processi di trasformazione degli alimenti a lunga conservazione che ossidano il nostro corpo invecchiandoci. Il plant-based è green ma non è fresco e non è detto che sia salutare, i consumatori lo scopriranno magari tra un paio d’anni.

Il progetto può spingersi anche a consigliare ai buyer alcuni prodotti?

Scienza e business oggi possono andare insieme, se ci sono dati scientifici che un prodotto ha caratteristiche di salubrità, funzionali, diventa una forte leva di marketing e commerciale per il prodotto. E sappiamo quanto il reparto ortofrutta stia soffrendo, perdendo quota in valore e quantità.  La cosa più importante è contestualizzare i prodotti, informando i consumatori dei benefici nell’ottica di una dieta salutare, la vera mission è quella. È  chiaro che servono attività di comunicazione con contenuti che possono esser offline o digitali, sui social, mentre il punto di vendita diventa l’ambassador dei contenuti. Abbiamo anche ideato un bollino verdeapprovato dai nutrizionisti” per alcuni prodotti trasformati dalle aziende: è un servizio premium a garanzia nutrizionale del lavoro fatto.

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