Zero, in arrivo le prime insalate da vertical farming per le private label #vocidellortofrutta

Tre referenze, importanti progetti in fase di realizzazione, come una produzione triplicata entro fine 2023. Mario Sforzini, Head of marketing, racconta le ultime novità dell'azienda di Pordenone

Le coltivazioni in aeroponica di Zero a Capriolo, nel Bresciano
Le coltivazioni in aeroponica di Zero a Capriolo

Solo un paio di mesi fa è entrata tra i soci Mitsui & Co, tra le più grandi aziende del Giappone. A giugno Zero lancerà le prime insalate in aeroponica per la pl: lo sviluppo della private label è l’obiettivo del Gruppo con sede a Pordenone, che punta a triplicare la produzione entro fine anno. E sono in arrivo diversi progetti internazionali, come il coinvolgimento nella prestigioso Future Farming-Innovation Technology Infrastructure, una partnership pubblico-privata con capofila l’Università Ca’ Foscari di Venezia. Mario Sforzini, head of marketing, ci racconta le ultime novità.

A che punto è la produzione di Zero?

Al momento la produzione si concentra sull’impianto di Capriolo, di dimensioni abbastanza contenute. Volendo citare qualche numero, parliamo di 70-80 tonnellate di prodotto l’anno, tra lattughino e baby leaf. Tre referenze quindi, un lattughino, più delicato e leggero, e due mix: la combo balsamica, a base di lattuga e basilico viola, e quella piccante, più vivace, che al lattughino abbina appunto la senape piccante.

Le insalate sono già sul mercato?

Basilico Zero da coltivazione aeroponica
Basilico Zero

Nella nostra visione Zero si occuperà prevalentemente di pl, ma in fase di lancio sono necessari dei passaggi intermedi. Solo dopo una fase di test di un paio di mesi a nostro marchio, This is Frank, i prodotti usciranno come private label per una catena intorno a fine giugno 2023 che comunicheremo prossimamente.

Attualmente lo stabilimento di Capriolo è interamente dedicato alle tre referenze citate; entro la fine del 2023, però, inizieremo ad ampliare la produzione fino a triplicarla, pur rimanendo nella stessa struttura, la quale ospitava una fabbrica tessile dei primi del Novecento.

L’obiettivo è quello di lanciare nuove referenze a partire dal 2024: baby leaf, erbe aromatiche, microgreen, ma anche semilavorati prodotti internamente come estratti vegetali a base di microgreen con grandissime proprietà nutraceutiche.

Che packaging viene utilizzato?

I pack che usiamo attualmente sono in R-pet con il 90% di materiale riciclato e riciclabili al 100% in vaschette termosigillate. La gdo spesso richiede confezioni in cartoncino, ma i costi per tale tipologia di confezionamento salirebbero di circa 20 volte. Stiamo comunque lavorando sullo sviluppo di packaging biobased, ma non siamo ancora arrivati alla formula giusta.  La proposta Ue punta sul riutilizzabile, sulla vaschetta che torna indietro. A pelle mi piace, ma per ora la vedo poco concretizzabile.

Come comunicate che il prodotto è da vertical farming?

Sede azienda Zero
Sede Zero

Il mondo del vertical farming ha diverse sfaccettature ed è ancora complicato da comunicare al grande pubblico. Uno dei valori portanti del brand Zero è la trasparenza: abbiamo sempre cercato di veicolare messaggi semplici, chiari, onesti, per sfatare i “falsi miti” che si accompagnano al concetto di aeroponica. Le persone, infatti, associano al vertical farming un’idea di artificialità per la troppa tecnologia percepita e per la collocazione indoor.

Un esempio. Lavorando in aeroponica noi non utilizziamo substrati: banalmente, la gente si chiede come facciano a crescere i prodotti in un capannone senza terra. Ebbene sì, a quanto pare è possibile, ma ancora davvero poco compreso.

Quando la cultura che sta attorno a tali tipologie di produzione sarà più consolidata potremo comunicare anche come si arriva a un prodotto con caratteristiche organolettiche eccellenti in condizioni ambientali “nuove” e in totale assenza di pesticidi.

Diverse vertical farm a livello globale hanno chiuso per il rialzo dei costi energetici: voi come riuscite a stare in piedi?

Ci siamo posti subito il problema perché quello dell’energia è il costo reale di questo tipo di produzione. Nessuno poteva prevedere questi incrementi, come è accaduto per il gas: in Olanda hanno spento, l’inverno scorso, moltissime serre per pomodori. Per mitigare il rischio ci siamo affidati a impianti con controllo dei costi, ovvero tre centrali idroelettriche sull’Oglio che hanno una produzione massima totale di circa 6 megawatt. Energia autoprodotta, grazie al fatto che siamo soci dei proprietari delle centrali.

Ci siamo poi resi conto che anche l’idroelettrico può essere soggetto a forti sbalzi dovuti alla questione della siccità. Puntiamo dunque a integrare la produzione di energia con pannelli fotovoltaici e batterie di stoccaggio, sistemi già in fase di studio sulle varie superfici. Tali tecnologie porterebbero a un aumento di disponibilità di energia pari approssimativamente al 20% di fabbisogno dell’impianto di Capriolo.  Rimanere in balia dei prezzi della rete non è possibile: anche su questo fronte è necessario guardare avanti.

Qual è l’obiettivo di Future Farming-Innovation Technology Infrastructure, progetto promosso dall’Università Ca’ Foscari di Venezia per il quale Zero è stata selezionata come azienda partner?

Future Farming di fatto rappresenta una grande occasione di innovazione nel settore delle biotecnologie applicate all’agricoltura del futuro. Si tratta di un’infrastruttura di ricerca che ambisce a diventare un punto di riferimento a livello europeo nel settore del Future Farming e ad attirare progetti e ricercatori da tutto il mondo con l’obiettivo di creare ricadute industriali e startup tecnologiche. Gli ambiti di ricerca saranno intersettoriali e spazieranno dall’industria del foodtech a quella dei biomateriali, da benessere a biofarmaceutica, da industria della circolarità ad applicazioni nell’aerospazio, con un denominatore comune: la sostenibilità ambientale ed economica.

L’infrastruttura verrà realizzata in Veneto da Università Ca’ Foscari Venezia grazie a un finanziamento del Pnrr, per un investimento totale di 20 milioni di euro. Noi cofinanzieremo il 51% della realizzazione dell’infrastruttura e, oltre a portare competenza, partner e personale qualificato da coinvolgere, ne gestiremo in futuro le attività di ricerca, coadiuvata da Ca’ Foscari e da altre Università del Nordest che verranno invitate a far parte del comitato tecnico scientifico.

Il progetto Future Farming ha una dimensione internazionale, come confermato dall’interesse già espresso dalla giapponese Mitsui & Co., dall’Istituto Ibisba di Tolosa e dalla statunitense SynBioBeta. Altri attori industriali sono interessati a commissionare in futuro alla struttura attività di sviluppo e ricerca in molteplici settori quali le biotecnologie e la bioindustria: tra loro Kbio, Officianae Bio, Zoppas Industries, Labomar, Hello Tomorrow, Gruppo Abbi, Vivai Cooperativi Rauscedo e Signify, con Cisco e Dell Technologies come aziende tech.

A proposito di internazionalità, l’azienda sta sviluppando altri progetti all’estero?

Abbiamo inaugurato un paio di mesi fa una Flagship Farm ad Abu Dhabi, come case history per la nostra tecnologia; stiamo inoltre lavorando con un fondo sovrano che vorrebbe espandere la produzione in quella zona.

Per fine anno saremo pronti con un impianto in Arabia Saudita in collaborazione con Mitsui & Co. e Tamini Market, grosso retailer saudita: l’impianto è stato costruito ex novo e verrà inaugurato entro la fine del 2023. Abbiamo inoltre diverse richieste da Usa e Corea, tutte in corso di valutazione.

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