Op Agritalia, l’uva insacchettata è più sostenibile #vocidellortofrutta

La tecnica è stata sviluppata con l’Università di Foggia per una migliore resistenza in campo a muffe e patogeni,  come racconta il presidente Michele Laporta

Uva da tavola insacchettata Op Agritalia
Uva insacchettata Op Agritalia

Allungare la shelf-life in campo del prodotto biologico, raggiungere più facilmente l’obiettivo del residuo zero e dare un prodotto convenzionale più fresco senza dover ricorrere a stoccaggi anticipati. I benefici della tecnica dell’insacchettamento dell’uva da tavola direttamente sulla pianta sono molteplici e si hanno con diverse metodologie di coltivazione. Op Agritalia, grazie alla collaborazione l’Università di Foggia, l’ha riadattata per gli scopi attuali per un prodotto sempre più sostenibile. L’Organizzazione di produttori, con sede a Barletta (Puglia), ogni anno produce 4.000 tonnellate di uva da tavola, commercializzate nei canali della gdo, come racconta il presidente Michele Laporta.

Come nasce questa tecnica dell’insacchettamento dell’uva da tavola direttamente sulla pianta? Quali vantaggi?

Michele Laporta, presidente della Op Agritalia
Michele Laporta

La tecnica è storica, non è nuova, ma è stata da noi ripresa guardando agli obiettivi per cui la si adottava anni fa. In un primo momento il nostro scopo era allungare la shelf-life in campo del prodotto biologico, non avendo strumenti per la post-raccolta. Da lì poi sono arrivate tante informazioni.

Ovvero?

Abbiamo notato che il prodotto, non bagnandosi per l’umidità, nella seconda parte di ottobre e di novembre, non veniva attaccato da muffe. Poi abbiamo pensato di utilizzare la tecnica anche per il residuo zero. E abbiamo utilizzato gli insacchettamenti non più nella seconda parte della stagione per proteggere l’uva dall’umidità, ma per limitare il contatto degli agrofarmaci con il prodotto. E ci aiutava a ottenere il residuo zero in un disciplinare controllato. Alla fine il vantaggio è per ogni tipologia di coltivazione, bio residuo zero o convenzionale, anche se la pratica è molto costosa: le buste di carta, in cellulosa, vanno apposte e tolte manualmente.

Avete sviluppato collaborazioni universitarie?

Sì, il progetto è stato avviato con l’Università di Bari e implementato con l’Università di Foggia. La professoressa De Palma e i tecnici della Agriproject ci assistono nel monitoraggio e miglioramento della tecnica. Utilizzata nella coltivazione biologica, ci permette di arrivare con un prodotto sano sino alla seconda metà di novembre, sufficiente per chiudere le programmazioni con i distributori. Nella coltivazione integrata ci consente di mantenere il prodotto sulla pianta in modo da evitare i costi energetici delle celle frigo. In questo modo si arriva a raccogliere anche nella seconda metà di dicembre e permette di consegnare al distributore un prodotto fresco.

Quali altri studi state facendo con l’Università di Foggia?

La professoressa De Palma sta, per esempio, analizzando e incrociando alcuni dati per individuare il momento giusto della raccolta, in modo da ottenere un frutto che esalti al massimo gli aromi intrinsechi della varietà.

Come è andata la campagna dell’uva e fichi?

La tecnica dell'insacchettamento dell'uva da tavola in campo
La tecnica dell’insacchettamento dell’uva in campo

Per i fichi le temperature calde hanno creato dei problemi sulla qualità, con riduzione dei volumi, in quanto molti impianti di ficheti non hanno irrigazione ed è quindi stata una campagna breve.

Per l’uva, invece, abbiamo avuto due campagne opposte. Nella prima parte la siccità ha favorito le precoci: buona qualità e volumi interessanti; nella seconda parte la qualità, specialmente della varietà Italia, è stata influenzata negativamente dalle alte temperature. E la contrazione dei consumi ha determinato una riduzione dei volumi.

Proprio a causa di questa situazione si sente parlare del tracollo delle varietà con seme a favore delle varietà senza semi. Sicuramente le uve senza seme hanno un margine di crescita molto importante, ma le uve tradizionali, quelle con seme, sono sempre state apprezzate e soprattutto quelle che hanno contraddistinto la produzione italiana.

Come sono i numeri di op Agritalia?

Siamo 50-55 produttori per 1300 ettari. Abbiamo numeri in crescita: aumentano i volumi e i fatturati, soprattutto con i prodotti premium. Abbiamo inserito molti prodotti con valore etico. Abbiamo attivato un progetto con una cooperativa per l’inclusione di ragazzi con disabilità. E un’altra attività con la Caritas diocesana per l’inclusione di lavoratori con permessi di soggiorno umanitari. Questi due progetti hanno prodotto referenze ad alto valore etico, molto accettate dal distributore e che vendono bene.

Che appeal stanno avendo il residuo zero e il bio?

Il bio aumenta di poco; aumenta molto di più il residuo zero che trova collocazione insieme al prodotto tradizionale e non ha problemi logistici all’interno del negozio. Il residuo zero lo abbiamo esteso dall’uva anche alle albicocche ed è in aumento: quest’anno pensiamo di fare il 10% della produzione, di cui 70% uva e 30% albicocche.

State investendo sulla ricerca varietale?

Op Agritalia da qualche anno è partner di Grape & Grape Group, con cui si sta facendo un percorso di innovazione varietale 100% Italiano, anche se non possiamo non guardare a breeder internazionali. Per questo siamo anche licenziatari per la produzione e commercializzazione delle varietà Ifg e Arra.

Nel seedless?

Siamo pronti con varietà bianche, rosse e nere 100% Italiane (Grape & Grape), ma non trascuriamo anche il miglioramento produttivo di uva con seme, tipo Pizzutella. Comunque il prossimo anno le superfici vedranno il 60% di varietà con seme e il restante 40% con varietà senza seme.

Ma la moda del seedless non snatura l’uva dal punto di vista aromatico, nonché organolettico (i polifenoli sono nella buccia ma anche nei semi)?

Uva da tavola Op Agritalia
Uva Op Agritalia

Sfonda una porta aperta. Come presidente del Consorzio Igp Uva di Puglia, avendo in paniere solo uve con seme, cerchiamo di difendere la posizione, con progetti che identificano altamente il territorio, l’aroma e la tradizione. È vero ci sono ottime varietà senza seme, che incontrano il gusto del consumatore principalmente perché sono più “comode”, ma il più delle volte hanno un gusto piatto e senza aroma.

Nella coltivazione di uve senza semi, in un mercato internazionale, dobbiamo fare sforzi enormi. È risaputo che i nostri costi sono più alti rispetto ad altre aree di produzione e soprattutto facciamo fatica nel far riconoscere un prodotto made in Italy. Per questo stiamo cercando di comunicare il prodotto by Italy, dove evidenziare e comunicare la nostra esperienza e tradizione.

Abbiamo, comunque, creato un terzo segmento: l’uva dal seme morbido. Questa varietà si chiama Luisa (registrata da Grape & Grape e costituita dal professor Somma). È dolce, gialla con aroma di Moscato. La sua peculiarità è che ha semi morbidi: quando la mangi non si avverte la loro presenza, ma è un’esplosione di polifenoli.

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