In un contesto difficile, tra conflitti bellici e tensioni geopolitiche, aumento dei costi della logistica, con il rischio di un pericoloso gioco al rialzo delle barriere protezionistiche, l’ortofrutta fresca ha fatto registrare nel 2024 un record per le esportazioni italiane, superando per la prima volta i 6 miliardi di euro di valore. Preoccupa però l’aumento delle fitopatie, che danneggiano le produzioni, dovuto al climate change. ll presidente di Fruitimprese, Marco Salvi, accoglie con favore l’annuncio di un cambio di strategia dell’Ue, più pragmatico, in materia di agrofarmaci, come l’accelerazione verso la regolamentazione delle nuove tecniche genomiche.
L’ortofrutta nel 2024 registra una crescita a valore e volume, dove nasce questo risultato positivo nonostante le difficoltà? Hanno inciso gli investimenti nelle nuove varietà?
Con falsa modestia potremmo che il risultato positivo dipende dalla professionalità degli operatori italiani che si stanno affermando come player internazionali in grado di gestire le richieste di mercato anche in situazioni di scarsa produzione.
Ovviamente questo non è l’unico fattore che ha portato l’export italiano a superare quota 6 miliardi di euro. Abbiamo avuto una buona campagna mele che ha segnato incrementi delle esportazioni a doppia cifra in volume e valore, un rilancio delle nostre pesche e nettarine sui mercati del Nord Europa e dati più che lusinghieri in termini di valore per l’uva da tavola, grazie alle nuove varietà senza seme, e per i kiwi per cui le buone notizie vengono dai dati commerciali del frutto a polpa gialla.
Tramontata l’idea di imporre il dimezzamento dei pesticidi entro il 2030, l’Ue sembra più accomodante sui principi attivi da mettere in black list. È questa la scelta giusta?
Sicuramente, sembra finalmente tramontata la deriva ideologica che rischiava di scrivere la parola fine alla storia della frutticoltura europea. Purtroppo molti danni sono già stati fatti, molecole indispensabili per i nostri prodotti sono già state bandite, costringendo gli Stati più lungimiranti a concedere autorizzazioni in deroga, creando una concorrenza sleale all’interno dello stesso mercato dell’Unione. Una situazione kafkiana: principi attivi che escono dalla porta e rientrano dalla finestra, ma solo per alcuni. E mentre assistiamo al crollo delle produzioni italiane di kiwi verde, la Grecia continua a piantare e ci sta superando in termini di Paese principale produttore dell’emisfero Nord.
Il commissario Hansen, in merito alla strategia da assumere per gli agrofarmaci, ha accennato che l’eliminazione procederà solamente in presenza di valide alternative percorribili.
Potrebbe rappresentare il primo passo verso una più ampia riforma della materia che dovrebbe comprendere anche un’uniformità di applicazione delle misure. Ci riferiamo alla spesso citata reciprocità che non deve riguardare solamente il prodotto importato dai Paesi Terzi, ma anche i nostri competitor europei, prevedendo che, quando un principio attivo è ammesso in uno Stato membro, lo sia anche automaticamente anche negli altri.
In questo ambito c’è molto da lavorare. Per esempio, non è accettabile che quando una molecola viene bandita, ai prodotti di importazione vengono concessi due anni per uniformarsi, mentre ai nostri agricoltori si danno pochi mesi e spesso si pretende che il prodotto già legalmente trattato non debba contenere residui.
A dispetto dei rigurgiti protezionistici, si registrano nuovi accordi fitosanitari con i Paesi Oltremare.
Recentemente c’è stata l’apertura, dopo 10 anni di trattative, del mercato brasiliano alle nostre susine, grazie al prezioso lavoro del tavolo fitosanitario di cui Fruitimprese fa parte assieme a Assomela, Alleanza delle Cooperative e Cso. Ora il lavoro si sposta sull’uva da tavola. La Cina per noi è sempre un obiettivo ambizioso: dopo la firma del protocollo pere, per cui stiamo perfezionando gli ultimi dettagli, è partita la trattativa per le mele, ma sappiamo che i tempi sono molto lunghi.
Sicuramente le tensioni commerciali internazionali non giovano all’apertura dei mercati, con il Wto che continua a perdere di autorevolezza sotto i colpi dell’amministrazione Trump. Da questo punto di vista i danni per le esportazioni di ortofrutta fresca ci sono ma non sono paragonabili, per esempio, a quelli causati dalla chiusura del mercato russo nel 2014: esportiamo negli Stati Uniti solamente kiwi per circa 30 milioni di euro di valore. Sono invece molto gravi i danni per chi importa, in particolare mandorle, inserite dall’Unione Europea tra i prodotti su cui graveranno gli aumenti di dazio previsti come contromisura per la politica protezionistica del Tycoon.
C’è finalmente il via libera al negoziato del Trilogo sulle Tea: quali sono le aspettative?
La notizia è sicuramente positiva, si dà il via a un processo che durerà alcuni anni prima di fornire soluzioni realmente applicabili per le nostre produzioni. Attendevamo questo momento dall’anno scorso, quando ne abbiamo parlato durante i nostri lavori assembleari. Ci preoccupano, tuttavia, le derive ideologiche che, in alcuni casi, sono sfociate in atti vandalici, come quelli recentemente avvenuti in un vigneto in Valpolicella.