Cultiva, la quarta gamma ha bisogno di aggregazione o chiude #vocidellortofrutta

Il ceo Federico Boscolo analizza le criticità del comparto e spiega la decisione di affidare la fase di trasformazione a Sab per concentrarsi sulla fase agricola e pl

Federico Boscolo, ceo Cultiva
Federico Boscolo, ad Cultiva

La fase di trasformazione dei prodotti di Cultiva sarà presa in carico da Sab nelle proprie strutture di Telgate (Bg), secondo quanto comunicato dalla Op che concentrerà le attività in ambito agricolo, ovvero i conferimenti di materia prima in Italia e all’estero. Lo stabilimento di Taglio di Po (Ro) al momento resterà invece inattivo in attesa di una riqualificazione. Con l’ad Federico Boscolo abbiamo fatto il punto delle problematiche relative alla quarta gamma.

Perché questa decisione?

La situazione era insostenibile. È quasi un anno che abbiamo denunciato le difficoltà in cui versa il nostro comparto. Ė un mercato che non cresce come negli anni ruggenti, i primi anni Duemila. Il numero degli operatori di quarta gamma in Italia è elevatissimo. Gestire un business del genere è molto costoso, le temperature, la catena del freddo. E per farlo servono tanti volumi, ma oggi la corsa ai volumi si fa al ribasso: c’è sovrapproduzione rispetto alla domanda. In più ci sono modalità operative spinte dalla gdo e accettate dal comparto che rendono difficile la logistica, con scarti, inefficienze, camion che escono mezzi vuoti. C’è poca collaborazione tra le aziende.

Che cosa intende per poca collaborazione?

Uffici Cultiva negli Stati Uniti
Uffici Cultiva negli Usa

In Italia abbiamo frammentarietà della produzione e size matters per poter investire in sostenibilità e innovazione. Un’azienda piccola fatica pure a pagare le analisi alimentari sulla sicurezza dei prodotti, i tamponi per la listeria. Come Op aggreghiamo diverse aziende, una ventina per circa mille ettari, e preferiamo quelle di grandi e medie dimensioni. Servono aggregazioni tra Op e tra imprese. Bisogna ridurre l’offerta, il numero dei player. Come si fa? O si chiudono le aziende, come abbiamo fatto noi, o si alza l’asticella in qualità, sostenibilità, catena del freddo così si autoeliminano quelli che lavorano male e buttano giù il mercato. Oppure si collabora, ci sono tante ottimizzazioni che si possono fare.

Cultiva chiude i battenti?

Assolutamente no: due terzi del nostro business continuano. Siamo un’Op che coltiva baby leaf, cespi, insalate. Tutto quello che coltiviamo per due terzi viene fornito alla quarta gamma europea e italiana, un terzo veniva trasformato: la parte che abbiamo ceduto è questo terzo.

Quanto può aver influito la questione energetica e la competizione con il vertical farming?

I costi energetici hanno amplificato una situazione insostenibile, hanno dato il colpo di grazia. Io vivo negli Usa, ogni anno viene investito quasi un miliardo di dollari nel vertical farming, che è molto presente, ma ci sono anche tante aziende che chiudono. Come Aerofarms, a New York, doveva anche sbarcare in Borsa. È un sistema di produzione che ha senso in alcuni luoghi, ma è inutile farlo in regioni di produzione tradizionale. È poi energivoro, anche se risparmia acqua.

Quanto incidono i costi della transizione green, dal packaging agli investimenti in fonti rinnovabili?

Forse il packaging è uno degli ultimi problemi. Costa a livello di agricoltura, per il taglio ai fertilizzanti bisogna trovare soluzioni, perché le rese si abbassano. A oggi c’è ancora poca chiarezza sulla sostenibilità. Immagino che serva un riassestamento di due, tre anni. Noi ci puntiamo, abbiamo iniziato un anno fa un percorso di misurazione, il nostro progetto CN5, stiamo lavorando sullo Scope 3: misuriamo tutta la filiera, dai semi, per un abbattimento della carbon footprint. Un percorso lungo, costoso.

Come possono tagliare i fitofarmaci del 62% con il cambiamento climatico e l’aumento dei patogeni?

Ė dura, ne siamo consci. Parte del nostro processo di riduzione delle immissioni passa attraverso la riduzione dei fertilizzanti, agrofarmaci. Abbiamo avviato negli Usa un progetto di sostituzione dei fertilizzanti sintetici con compost, utilizzo di microorganismi, siamo ancora agli albori. Servono anni per migliorare le tecniche agronomiche. Il compost poi costa molto di più e non è così efficace come un fertilizzante. Per ridurre i pesticidi, abbiamo seminato sulla carta per evitare la crescita delle malerbe: costa tre volte tanto.

Che fine farà l’impianto di Taglio di Po?

stabilimento Cultiva Taglio di Po
Impianto Cultiva a Taglio di Po

È temporaneamente inattivo, ci tengo però a precisare che tuteleremo quei lavoratori, strettamente legati all’operatività produttiva, di cui il numero di esuberi, circolato negli ultimi giorni, andrà ridimensionato.

Su cosa si concentrerà l’Op?

Ci concentreremo sui due terzi del business rimasti, la produzione e commercializzazione di prodotti sfusi da vendere all’industria della quarta gamma in Europa e Italia. Il progetto fatto con Sab va in questa direzione. Il marchio Cultiva a livello retail sparisce. Noi però per il 70% facciamo pl, la fatturazione rimane nostra.

E come prodotti su cosa state lavorando?

Le baby leaf sono il nostro punto di forza in Usa ed Europa, anche erbe aromatiche come il coriandolo che negli Usa è usato molto, prodotte con raccolta meccanica e forte automazione. Abbiamo alcuni progetti di agricoltura 4.0, raccolta dati dal campo, digitalizzazione, strumenti per automatizzare i quaderni di campagna, controllo in real time, gestione predittiva.

Oggi il trend va verso le insalate esotiche, mizuna, pak choi.

Raccolta lattughino rosso in serra
Raccolta lattughino rosso

Li coltiviamo da 25 anni, siamo stati tra i primi a portare questi prodotti in Italia per differenziarci e li facciamo ancora. Ma oggi c’è attenzione al costo, ci si focalizza sui prodotti base. Anche Uk, il nostro primo mercato, non se la passa benissimo per l’inflazione. E nei mercati dove è forte, il bio non sta crescendo, anzi, ci sono clienti che stanno tagliando le stime. E credo che questa situazione di gestione del budget andrà avanti almeno per altri due anni. C’è tendenza all’appiattimento sui prodotti base: i clienti ci chiedono come possono avere lo spinacino a costi più bassi. E ci sono anche quelli disposti a tollerare difettosità sul prodotto per minori costi! Questo dato negativo ci spinge però a lavorare per ottimizzare la logistica, i sistemi.

C’è una parte delle aziende di quarta gamma che investe nel residuo zero, si certifica B Corp o diventa Società Benefit, utilizza pack riciclato, ma poi abbiamo a scaffale insalate a 0,99 euro…

Serre Cultiva in Florida (Usa)
Serre Cultiva in Florida

È lodevole il lavoro sulle B Corp: è questione di timing, credo di tre anni. Lavoriamo per creare un’azienda che sarà pronta quando è necessario, che punta alla decarbonizzazione. Avevamo  installato i pannelli fotovoltaici sull’impianto 12 anni fa, coprendo il 27% di fabbisogno energetico: implementandoli, con quelli a più alta resa, saremmo arrivati a un 60%. Il nostro socio americano, Taylor Farms, ha messo una pala eolica nel giardino degli stabilimenti. Tutti sono interessati alla sostenibilità, i clienti, i ceo, ma si chiedono chi pagherà tutto questo. I big polluter sono poi altri, non è certo l’Europa. E come quarta gamma non lo siamo. Ma sono convinto che prima o poi tutti quanti dobbiamo fare questo cambiamento. Sono molto sensibile, la direzione strategica di lungo termine è questa, è una scommessa giusta, coraggiosa a livello globale.

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