Dagli scarti della frutta a sensori: a Bolzano è già realtà

componenti elettronici scarti frutta

Sensori alle mele, kiwi e uva? È possibile usare questi materiali come substrato per circuiti elettronici. Il laser carbonizza la superficie del substrato di cellulosa derivato dagli scarti della lavorazione della frutta, trasformandolo in dispositivi elettronici.

Il progetto italiano del Sensing Technologies Lab, il laboratorio di nanotecnologie e sensoristica al Noi Techpark della Libera Università di Bolzano, propone una nuova tecnologia sostenibile per dispositivi elettronici basata sugli scarti della frutta. Una dettagliata descrizione è disponibile nell’articolo scientifico Laser-Induced, Green and Biocompatible Paper-Based Devices for Circular Electronics.

Un prototipo in attesa di uno sviluppo concreto

Quando si parla di innovazione bisogna sempre tener conto del normale ciclo di vita che dall’idea porta al successo, e da questo al declino. Si tratta di un percorso che può durare decine, o anche centinaia di anni. Dall’idea al prototipo (con brevetti), quindi la costituzione d’una azienda che via via sviluppa uno standard, sul quale tante altre aziende ed organizzazioni impostano un ecosistema che si espande fino al naturale declino. Nel caso del progetto in questione siamo subito dopo l’idea, con un prototipo che sviluppa elementi di grandi dimensioni, non paragonabili a quelli usati nei chip. Lo sviluppo è reale ma le possibilità di mercato ancora tutte da verificare.

Le possibili applicazioni di questa tecnologia sono numerose: biosensori per il monitoraggio nelle funzioni corporee e nell’agricoltura di precisione. Grazie alla sua natura sostenibile e biocompatibile, la cellulosa a base di frutta può essere impiegata anche per dispositivi a contatto con la pelle e per applicazioni nel mercato alimentare, nella diagnostica medica e nell’Internet delle cose.

In ottica di circolarità

Il processo di riciclaggio di questa elettronica “circolare” presenta due strategie. Da un lato, i dispositivi elettronici possono dissolversi a temperatura ambiente in circa 40 giorni senza rilasciare sostanze nocive, se irrorati da succo di limone. Dall’altro, i dispositivi possono essere reintrodotti nella natura come supporto per la crescita delle piante o per l’arricchimento del suolo.

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