Sarà questo l’anno in cui riuscirete a comunicare la sostenibilità del vostro brand?

In quale modo i marchi dell'alimentare comunicano le proprie credenziali di sostenibilità? E cosa si può imparare dalle neuroscienze?

La sostenibilità sta diventando un must per le aziende dell’agroalimentare. Anzi, con buone probabilità, è in cima alla lista delle priorità di ogni marchio alimentare.
Come faranno, quindi i marchi alimentari a comunicare le loro credenziali di sostenibilità senza influire su altri aspetti del proprtio posizionamento?

Una questione da affrontare nel modo corretto

Fino a pochi anni fa erano soprattutto i marchi vegani, salutistici e i prodotti etici quali Fairtrade a ritenere di dovere comunicare i propri impegni in tema di sostenibilità. I destinatari del messaggio erano i responsabili acquisto, che venivano informati sull’origine del cacao, sulla riciclabilità del packaging, su quanta energia venisse spesa per produrre un determinato alimento e così via. Ora è una esigenza di tutti. Ikea, ad esempio, ha dichiarato di recente che, dal 2025, metà del cibo servito nei suoi ristoranti sarà di origine vegetale. Aldi, invece, ha annunciato che entro la fine dell’anno tutti i suoi cereali saranno confezionati in imballaggi riciclabili al 100%.

Ma non è diventare green che vi farà sembrare sostenibili

Bisogna pensare a una esperienza multisensoriale. Visiva, sì, ma anche verbale, tattile: il linguaggio, l’aspetto della confezione, la sensazione del prodotto, il modo in cui il vostro marchio agisce sui social media e viene pubblicizzato in Tv o nella cartellonistica. È tutto questo. Insieme.
Chiaramente, la sostenibilità è una preoccupazione quotidiana per tutti. Soprattutto i giovani: secondo una indagine della NYU Stern, infatti, “più giovane è la famiglia, maggiori sono le probabilità che acquisti prodotti commercializzati in modo sostenibile”.

Fare bene nel campo della sostenibilità, fa bene anche agli affari

È sempre stato così, ma ora ogni brand ha questo input. Senza dimenticare che i clienti non sono più disposti a scendere a compromessi su qualità, gusto, aspetto e sensazioni come avrebbero fatto qualche anno fa con i prodotti sostenibili. La sostenibilità, insomma, può certamente andare di pari passo con un posizionamento premium. Ad esempio, i biscotti ecofriendly si vendono a più del 100% dei premium. Il cioccolato sostenibile costa il 50% in più. Idem per pane e yogurt. Questi brand chiedono molto più dell’approvazione morale dei clienti: chiedono un sovrapprezzo che non può essere giustificato dalla sola scritta “100% sostenibile”. In altre parole, l’intera esperienza deve salire di pari passo al livello di prezzo superiore che chiede.

È anche vero che può essere difficile per i marchi “spuntare tutte le caselle della sostenibilità” senza mettere a rischio la propria identità: devono mantenere le caratteristiche che li hanno contraddistinti nel corso degli anni.
Mars, ad esempio, fa un ottimo lavoro nel promuovere il cacao certificato Rainforest Alliance pur continuando a fornire l’idea di qualità. Ma cosa succederebbe se anche l’intero packaging fosse reso sostenibile dall’oggi al domani? La confezione più leggera o l’inchiostro a base vegetale lo farebbero percepire meno raffinato? E scartarlo da materiali riciclabili sarebbe la stessa cosa o si perderebbe la magia?

Come prevedere  l’effetto di questi cambiamenti senza sembrare opportunisti o danneggiare il marchio? Come può un marchio confrontarsi con gli obiettivi di sostenibilità senza rinunciare alle peculiarità che lo rendono unico?

Le neuroscienze al vostro servizio

Una affermazione valida per ogni brand di alimenti, non solo per i dolciumi. La sostenibilità non dovrebbe prevalere del tutto su ciò che rappresenta il vostro marchio: dovete trovare il giusto equilibrio. Dovete essere voi stessi.
Potete prevedere le nuove tendenze, cercare di intuirle, ma per trovare la vera risposta bisogna entrare nella testa delle persone. Ecco allora che le neuroscienze possono arrivare in vostro soccorso.

Un marchio può essere sostenibile quanto vuole, ma se non lo trasmette in modo efficace le persone semplicemente non lo sapranno; o, anche peggio, potrebbe avere conseguenze negative per il prodotto. Così, usare le neuroscienze per identificare quali siano i punti deboli e come possono integrarsi con la sostenibilità può creare o distruggere la comunicazione di un marchio: sostenibile non significa noioso o poco attraente. Deve essere comunicato come un vantaggio, un must.

Si possono utilizzare tecniche online come il test di associazione implicita e il test di salienza visiva per valutare come le persone reagiscono rapidamente al marchio che gli viene presentato. L’associazione implicita misura la forza con cui le persone associano inconsciamente due concetti (es. McDonald’s e sostenibile). Più forte è l’associazione, più velocemente verrà in mente: da qui, l’attenzione ai tempi di risposta. E, siccome tutto avviene in tempo reale, si possono raccogliere risposte sincere e non filtrate. Se state cercando un packaging sostenibile, o un font o un pay-off che comunichi le vostre nuove credenziali di sostenibilità, i vostri modelli possono essere testati rispetto all’imballaggio attuale.

Le neuroscienze, comunque, non sono responsabili di ogni singolo annuncio pubblicitario, design del packaging o toolkit del brand. La fortuna e l’intuizione hanno senza dubbio giocato un ruolo importante nel corso degli anni. Potremmo dire che le neurosceienze mitigano il rischio. E -in un’era piena di rischi come questa, con l’industria alimentare che “balla intorno alla sostenibilità” cercando di non inciampare- è davvero meglio non fare passi falsi.

 

Foto di apertura by The Creative Exchange on Unsplash

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