#vocidellortofrutta, T. Diomede (Racemus): “Spagna nazionalista, sarà difficile esportare”

La titolare dell’azienda di Rutigliano, produttrice di uva da tavola, mette in guardia sui cambiamenti in atto: “Gli altri Paesi pensano ‘Prima il nostro poi quello che arriva da fuori’. Con il progetto Semi d’Uva vogliamo far conoscere le proprietà nutraceutiche”

Teresa Diomede, titolare di Racemus, azienda che produce uva da tavola
Teresa Diomede, titolare di Racemus

Teresa Diomede è produttrice di uva da tavola in Puglia, a Rutigliano, con l’azienda agricola Racemus, di cui è titolare. È socia di Apoc e coordinatrice regionale dell’Associazione Le Donne dell’Ortofrutta. “I nostri prodotti – racconta – al 90% vanno all’estero, soprattutto Spagna e Portogallo. Arrivano notizie di una Spagna che ha deciso di essere più nazionalista del solito: “Prima il nostro poi quello che arriva d fuori”. Quest’anno l’export sarà difficilissimo.

Come sono andati questi primi 4 mesi di Coronavirus?

Per la viticoltura non è questo il periodo di massima attività: quando c’è stato il lockdown stavamo ancora preparando le nuove strutture, le coperture con le reti antigrandine. Il distanziamento delle persone è stato facile. La cosa difficile è stata reperire le mascherine. Poi l’attività è andata avanti senza problemi. Adesso stiamo pensando alle eventuali criticità per la raccolta.

Oggi, infatti, si parla del collo di bottiglia della raccolta estiva: mancherebbero migliaia di lavoratori stagionali. Come stanno le cose per Racemus?

Non siamo un’azienda molto grande: i dipendenti sono stagionali e nell’ordine di una cinquantina di persone. Da anni sono sempre più o meno le stesse. Non sono tutti stranieri. Quest’ultimi vivono sul territorio, in maggior parte albanesi che si sono integrati: solo a Rutigliano, dove ha sede l’attività, lo sono circa 2 mila su 18 mila abitanti. Negli anni abbiamo anche svolto attività di welfare a tutti i livelli. Non credo vogliano andarsene.

Quando comincerà la raccolta?

Fine agosto, inizio settembre. Quest’anno c’è un po’ di ritardo. Si era partiti bene poi abbiamo avuto delle gelate e la vegetazione si è un po’ fermata. Alla fine dovrebbe essere in linea con gli altri  anni. Noi non abbiamo uve precoci. Difficile al momento fare previsioni sui quantitativi. Le gemme al momento sembrano essere tutte presenti al tralcio.

Una meccanizzazione dei sistemi è impossibile per l’uva?

Coltivazioni uva azienda Racemus
Coltivazioni uva Racemus

L’uva da tavola è un prodotto delicato, come le fragole. La cura è manuale. Ho letto di raccolte con bracci robotizzati. Trovo difficili questi esiti da noi. Penso che non l’accetteremmo neanche noi viticoltori che abbiamo sempre comunicato un certo tipo di coltivazione, fatta da uomini e donne, mani amorevoli, professionalità, storia. Bisogna sapere vedere non solo se l’uva è matura, ma forma, colore, peso. Per me solo una persona è in grado, non un braccio meccanico.  Sono più per il post-raccolta: sono molto attenta a tutto quello che agevola la shelf-life.

La pandemia ha acceso i riflettori sulla shelf-life.

Questa pandemia ci sta insegnando che le famiglie scelgono prodotti durevoli. Dobbiamo essere pronti a offrire un prodotto che si conserva per più giorni, altrimenti soffriremo molto. C‘è poi un problema confezioni. Oggi il Coronavirus spinge verso il confezionato, ma non si riesce a programmare. Anche i clienti non mi fanno capire se devo cambiare qualcosa sul pack. E c’è anche il problema dove andare  a vendere.

In che senso?

Il nostro fatturato è intorno a 800 mila euro, un milione di chili. I nostri prodotti al 90% vanno all’estero, soprattutto Spagna e Portogallo. Poi abbiamo anche trecento quintali di melagrane commercializzate in Italia. Arrivano notizie di una Spagna che ha deciso di essere più nazionalista del solito: “Prima il nostro poi quello che arriva d fuori”. Quest’anno sarà difficilissimo. Il mercato italiano è inflazionato con le uve da tavola.

La pandemia ha anche detto che si premiano i prodotti salutari: l’uva, grazie a antocianine e resveratrolo, è tra i top. Racemus a Fruit Logistica 2020 ha presentato  il progetto Semi d’Uva. Di che si tratta?

Uva da tavola prodotta dall'azienda Racemus
Uva da tavola Racemus

Sì, l’abbiamo presentato in sinergia con la OP Apoc, l’Associazione Nazionale Donne dell’Ortofrutta, l’Ospedale Oncologico Giovanni Paolo II di Bari, Fondazione Fico di Bologna e l’Associazione PH8-La salute è contagiosa. Il progetto è nato per promuovere il consumo di uva da tavola, in particolare quella con semi, in una dieta sana ed equilibrata.

Oggi il trend è quello di andare verso i prodotti seedless. Ma è  proprio nei semi che si trovano le massime proprietà nutraceutiche. Abbiamo scelto allora l’Ospedale Oncologico Giovanni Paolo II di Bari per il progetto di ricerca. Il primo aggiornamento sarà a settembre per la Festa dell’uva a Rutigliano.

Come si sta muovendo l’ associazione Le Donne dell’Ortofrutta? Ci sono progetti in corso?

Purtroppo è saltato l’evento di marzo, alla fondazione Fico, legato alla buona comunicazione, buona agricoltura e alimentazione, per combattere fake news e disinformazione. Un progetto che vede in cabina di regia le Donne dell’Ortofrutta e fondazione Fico. Il primo appuntamento sarà pertanto a Rutigliano per la Festa dell’uva, dove verranno le Donne dell’Associazione per l’annuale congresso.

L’uva è tra i prodotti che più si prestano all’economia circolare: state facendo qualcosa anche in questa chiave?

Solo per i succhi. Non siamo strutturati sul territorio per recuperare i semi, che sarebbe opportuno: sono ricchissimi di polifenoli.  È un ambito che manca. Stiamo cercando di promuoverla per consumi differenti. Ho cercato di valorizzare l’uva da tavola attraverso una collaborazione con le pasticcerie. Il discorso è sempre lo stesso: mancano aziende che fanno la trasformazione.

Cosa auspicate per la Fase 2?

Abbiamo chiesto, anche a livello regionale, che vengano effettuati i tamponi e test sierologici per i dipendenti. Abbiamo bisogno di sapere. Nella speranza che non ci mettano ulteriori restrizioni: con costi ancora più elevati non potremmo più lavorare.

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