La Patata di Bologna Dop porta i consumatori nei luoghi in cui cresce

Ben posizionata in gdo, la patata di Bologna Dop ha lanciato il progetto Coltivatori di Valori

patata di bologna dop

La Patata di Bologna Dop non è una commodity, ma un prodotto con precise caratteristiche organolettiche e qualitative dovute al territorio di coltivazione e alle tecniche messe a punto con l’esperienza dai produttori.

“Partendo da questo presupposto di distintività con cui ci posizioniamo in una fascia premium del mercato dobbiamo far conoscere le peculiarità del nostro prodotto ai consumatori come ultimo e fondamentale tassello del lavoro di valorizzazione portato avanti dal 1992, con la costituzione del consorzio di produttori, rafforzato nel 2012 con il conseguimento della Dop e nel 2016 con il riconoscimento della tutela della denominazione”, afferma Davide Martelli, presidente del Consorzio di tutela della Patata di Bologna Dop.

Il progetto Coltivatori di valori della patata di Bologna Dop

Supportato anche dal un finanziamento di 400mila euro del Psr della Regione Emilia-Romagna, il Consorzio ha avviato il progetto Coltivatori di valori, con cui crea un filo diretto tra i produttori e i consumatori che, inquadrando con uno smartphone il Qr Code sulle confezioni delle patate, geolocalizzano l’appezzamento in cui sono state coltivate e accedono a una pagina dedicata alla storia del produttore.

I numeri della Patata di Bologna Dop

18 soci, 67 produttori, 110mila quintali di prodotto coltivato nella provincia di Bologna tra il fiume Sillaro e il Reno. La varietà utilizzata è la Primura caratterizzata da buccia sottile e liscia, consistenza soda della polpa, colore chiaro e versatilità in cucina.

La Patata dop di Bologna è distribuita con il proprio marchio o in co-branding con alcune insegne della gdo (es Sapori e Dintorni Conad) e con marchi ortofrutticoli come Solarelli.

“Il concetto di fondo di valorizzazione delle dop, così collegate ai territori, dove si devono svolgere tutte le fasi di produzione e confezionamento, – spiega Filippo Arfini, docente di economia dell’agroalimentare all’Università di Parma – si fonda sulla fiducia e sulla completa trasparenza e tracciabilità, su azioni di marketing cognitivo per comunicare la qualità e sulla legittimazione intesa come trasmissione del valore lungo tutta la filiera”. A maggior ragione se, come osserva l’assessore all’Agricoltura della Regione Simona Caselli, solo il 12% dei consumatori italiani conosce il significato dei loghi dop e igp.

“In grande distribuzione –afferma Anna Rita Muzzarelli dell’azienda agricola Orsini di Castel San Pietro– la patata di Bologna si è già guadagnata una maggiore visibilità in termini espositivi rispetto alle altre patate. L’obiettivo è far sì che sia il consumatore a richiederla e incrementare così anche i nostri volumi produttivi”.

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