La politica Ue è troppo verde, agricoltori in rivolta

Mobilitazione europea, giovedì 1 febbraio, davanti al Parlamento di Bruxelles, con la partecipazione di Coldiretti. Pac e Green Deal nel mirino

Non c’è più il simbolo dell’ideologia verde radicale, l’ex vicepresidente della Commissione europea Frans Timmermans, eppure il tappo sembra saltato. La protesta degli agricoltori e degli allevatori, che sta causando disagi in mezza Europa, trova una prima mobilitazione comune giovedì 1 febbraio, in Place du Luxembourg, di fronte al Parlamento europeo, dove assieme al presidente della Coldiretti Ettore Prandini ci saranno oltre un migliaio di contadini e allevatori provenienti da tutta Italia  e non solo (dagli spagnoli di Asaja ai portoghesi di Cap, dai belgi di Fwa fino ai giovani di Fja) per denunciare, con eclatanti azioni dimostrative, gli effetti delle politiche europee. Nell’occasione verrà diffuso il rapporto Coldiretti Le mani dell’Europa sull’agricoltura italiana e saranno mostrare le Follie dell’Europa a tavola.

Politica agricola comune da rivedere

Al centro della protesta ci sono le politiche del Green Deal e la nuova Pac che negli anni è sempre meno generosa nei sussidi agli agricoltori e sempre più vincolata al rispetto di standard benefici per l’ambiente e il clima. Ma su questo ultimo punto Coldiretti  annuncia un primo risultato grazie al pressing degli agricoltori. La presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha infatti annunciato deroghe alle norme Ue sull’obbligo di mantenere i terreni incolti. “Va cancellato definitivamente l’obbligo di lasciare incolto il 4% dei terreni destinati a seminativi imposto dalla Politica agricola comune.  È una scelta sbagliata come sosteniamo da anni, eredità della folle era Timmermans. Non ha senso impedire agli agricoltori di non coltivare quote dei loro terreni, quando poi si è costretti a importare” afferma il presidente della Coldiretti Ettore Prandini che chiede uniformità per i prodotti in ingresso nell’Unione su standard ambientali, sanitari e in materia di lavoro.

La battaglia contro il piano di transizione verde, lo spiraglio delle Tea

Sul Green Deal i cahier de doléance sono diversi. Da una parte c’è una produzione in difficoltà per cambiamento climatico e patogeni. Qualche numero: in base ai dati Nomisma la produzione in volumi di patate è scesa del 6,8% nel 2023 e la frutta del 5,3%. L’Ue ha risposto chiedendo di tagliare i fitofarmaci del 50% entro il 2030 e i fertilizzanti del 20% senza alternative. Serve investire su nuove varietà più resilienti ma finora l’Ue ha bollato come Ogm le Tea chieste a gran voce dall’Italia, da Coldiretti e Confagricoltura, dall’Alleanza delle cooperative italiane a Cia-Agricoltori italiani: si vedrà cosa succederà nella prossima plenaria (5-8 febbraio) dove potrebbe realizzarsi finalmente il loro sdoganamento “È necessario lavorare alla nuova genetica green no ogm per ridurre i costi delle imprese e aumentare il reddito. In tale ottica lanceremo nel 2024 i primi campi sperimentali in Italia sulle Tea, le Tecniche di evoluzione assistita” ha annunciato Prandini il giorno della rielezione a presidente di Coldiretti.

Imballaggi, Nutriscore, Italian sounding: tante questioni spinose

In questi ultimi anni il rapporto tra la politica Ue e la produzione si è esacerbato. Si pensi al Nutriscore, le etichette salutistiche che inseguono sempre più i divieti, la volontà di sostenere il bio ignorando altre formule come il residuo zero o la produzione integrata, le aperture e il sostegno verso il novel food che sembrano quasi punire la colture tradizionali. Senza dimenticare l’Italian sounding, che sottrae all’Italia quasi 60 miliardi di export, secondo una ricerca di The European House-Ambrosetti con Ismea, che ha coinvolto 250 retailer nel mondo in dieci Paesi su undici categorie merceologiche tipiche del made in Italy.

Altre partite che hanno avvelenato gli animi sono state più recentemente la nuova normativa sugli imballaggi, con marce indietro rispetto a quanto votato dal Parlamento che rischiano di penalizzare le confezioni monouso in plastica. La transizione green ha poi un costo: si vuole tagliare le fonti fossili, ma le alternative, elettrico, pannelli fotovoltaici, eolico, obblighi crescenti di rendicontazione dei bilanci di sostenibilità, erodono poi gli investimenti. Senza dimenticare le difficoltà per i costi aumentati in questi anni dell’energia, la logistica, per la crisi del Canale di Suez. Per inseguire poi gli obiettivi di tagli della CO2, contrastare siccità e caldo, occorre mettere risorse nell’agricoltura digitale, dotarsi di sensori in campo, software e macchinari basati anche sull’Ai. Costi su costi in un mondo che contrae i consumi per l’inflazione.

 

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