Caselli (Areflh): “Bene i fondi Ue per la promozione, ma sul bio c’è troppa enfasi” #vocidellortofrutta

Per la presidente dell’Associazione delle Regioni europee dell’ortofrutta, Simona Caselli, il giudizio è positivo ma rimane qualche ombra che potrebbe penalizzare alcuni comparti del made in Italy

Simona Caselli, presidente dell’Associazione delle Regioni europee dell’ortofrutta
Simona Caselli, presidente di Areflh

“I fondi per la promozione permettono di dare impulso all’export, di pari passo con gli accordi di libero scambio dell’Ue”. La presidente dell’Associazione delle Regioni europee dell’ortofrutta, Simona Caselli, ha un giudizio positivo sullo stanziamento per il 2022 deciso dalla Commissione europea per le politiche di promozione dell’agroalimentare, anche se non manca di rilevare alcuni aspetti critici.

Come giudica lo stanziamento di 96 milioni per la promozione dei prodotti agroalimentari nei Paesi terzi?

Dopo il Covid è importante dare impulso alla promozione, in particolare sui mercati esteri, nei Paesi terzi. In realtà i fondi sarebbero 185,9 milioni, perché c’è anche una parte destinata al mercato interno, con 89 milioni nei programmi semplici. Per il 2022 dobbiamo tenerci questa cifra. Come Areflh, l’Associazione delle Regioni europee dell’ortofrutta, avevamo chiesto di ripristinare il budget di 200 milioni: sarebbe bene che la Commissione facesse uno sforzo in più.

Quale spazio ha l’ortofrutta, come viene considerata?

Come Areflh non possiamo che rallegrarci che venga dato molto spazio all’ortofrutta, penso al discorso della dieta sana. L’ortofrutta ha visto una stasi delle esportazioni. Anche all’interno della Ue ci sono stati anni di decrescita del consumo. Oggi si sono messi più soldi. C’è molta enfasi sul biologico, la strategia From Farm to Fork spinge in questa direzione. Ed è coerente che nella politica di promozione si mettano risorse importanti sul bio. Io sono molto a favore del bio: quando ero assessore all’Agricoltura della Regione Emilia-Romagna ho fatto raddoppiare le superfici. Ma in questo caso stanno un po’ esagerando.

In che senso?

Si rischia di mettere dei soldi che poi questo settore potrebbe non riuscire a usare. La produzione bio nell’Ue è attualmente all’8%: non è abbastanza per fare un lavoro sui Paesi terzi. E non è neanche vero che l’unica agricoltura sostenibile sia solo quella bio. C’è l’agricoltura integrata, che ha la principale quota, e vale per noi come gli spagnoli o i francesi; poi di precisione, conservativa. Ci sono tecniche agricole che contrastano l’utilizzo di pesticidi e danno benefici ambientali evidenti. I soldi del bio rischiano pertanto di restare inutilizzati. I produttori biologici sono poi meno organizzati, meno parte di Op e sono poche le Op che esportano in grande quantità nel bio. Il budget è pertanto sbilanciato sul bio. Rischiamo di mettere soldi su una produzione che è sempre quella. Io avevo proposto alla Commissione dei budget crescenti in base alla produzione.

Alla fine rimane un giudizio positivo?

Rimane uno strumento importante: 200 milioni ogni anno sono un sacco di soldi. Permettono di dare impulso all’export, di pari passo con gli accordi di libero scambio dell’Ue. Gli accordi con il Cile e con il Messico sono quasi pronti. La criticità grossa è che hanno infilato in un allegato un sub criterio, che vale solo per il mercato interno, per cui la proposta alla voce sostenibilità deve essere coerente con il Piano anticancro. È stato inserito dopo che gli Stati membri avevano votato il testo. Ed è molto pericoloso per alcuni comparti. Sembra pertanto che, per esempio, il vino (ma anche carne e salumi) non abbiano chance se presentano programmi sul mercato interno. Questa cosa creerà molte polemiche, anche perché il testo non è chiaro. Che l’Italia, per esempio, non possa fare un progetto di promozione del vino in Germania non ha senso.

Bisogna partecipare come “marchio collettivo” per accedere a questi fondi?

È necessario anche per avere anche una massa critica sufficiente. Per fare certe attività bisogna avere anche le spalle abbastanza larghe: l’Ue dà un 70-80%, il resto è di co-finanziamento delle aziende, serve pertanto una certa robustezza. Viene apprezzato anche il fatto della multilateralità: cioè che all’interno di un progetto di promozione ci sia uno prodotto italiano, francese o spagnolo, per esempio. O che all’interno delle Dop e Igp ci sia più di un consorzio. L’approccio ‘l’unione fa la forza’ è molto apprezzato: muoversi con i consorzi e le Op è molto meglio.

Come sono andati i risultati dello scorso anno?

L’anno scorso è andata molto bene: solo con l’ortofrutta abbiamo vinto sei o sette progetti, il Cso ne ha vinti tre.

Se questo articolo ti è piaciuto e vuoi rimanere sempre informato iscriviti alla newsletter gratuita.

LASCIA UN COMMENTO

Inserisci il tuo commento
Inserisci il tuo nome