Clima impazzito, Confagricoltura Emilia Romagna: “Sviluppare nuove varietà”

Appello a rilanciare la ricerca pubblica italiana in ambito frutticolo per ottenere nuove varietà in grado di ritardare la fioritura

Di fronte a inverni sempre più miti, con l’anticipazione della ripresa vegetativa e il rischio del ritorno del gelo, occorre investire nella ricerca di nuove varietà in grado di ritardare la fioritura. L’appello arriva da Confagricoltura Emilia Romagna.

Rilanciare la ricerca pubblica italiana in ambito frutticolo per ottenere varietà adatte ai mutamenti climatici

“L’inverno mite ha anticipato la ripresa vegetativa di alcune specie di albicocco, a fioritura precoce, molto diffuse sul territorio (Wonder Cot, Sweet Cot, Rubista e Aurora) – spiega Confagricoltura in una nota –. E  sarà così, a seguire, anche per tutte le altre varietà di drupacee. Il rischio è che nella fase della fioritura ritorni il freddo, o addirittura il gelo, come avvenne l’anno scorso.

Occorrono nuove varietà in grado di ritardare la fioritura – invoca –: il cambiamento climatico ci spinge ancora di più a investire in ricerca e sperimentazione. Abbiamo bisogno di rilanciare la ricerca pubblica italiana in ambito frutticolo, per ottenere varietà adatte alle nostre condizioni pedoclimatiche e al meteo in continuo cambiamento”.

Sostenibilità italiana al top: il 65% dei frutti italiani ha residui “sotto la soglia di rilevabilità”

Le colture frutticole si estendono in Emilia-Romagna su una superficie di 110.000 ettari circa (di cui 50.000 coltivati a vite). Dal 2014 vige l’obbligatorietà di attenersi ai protocolli tecnici per l’utilizzo della difesa integrata. Ben 30.000 ettari coltivati seguono poi i disciplinari più stringenti di difesa integrata volontaria.

Confagricoltura Emilia Romagna ricorda come in tema di sostenibilità l’Italia sia già al top. Il  65% dei frutti italiani presenta residui con valori talmente bassi da essere definitivi “sotto la soglia di rilevabilità” a fronte di quelli dell’Ue che si fermano al 51% (fonte Efsa, dati 2016). Solo l’1,9% del prodotto nostrano ha poi residui sotto i limiti di legge – secondo i parametri di salubrità dettati dalla normativa europea –, contro il 4% della media Ue.

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