Olio extravergine: come valorizzare un superfood?

Con un fatturato di oltre tre miliardi, l’Italia oscilla tra il secondo e terzo posto come produttore mondiale d’olio d’oliva grazie a un milione di ettari coltivati a ulivo, di cui un quinto bio. Vanta il maggior numero di marchi Dop e Igp (46, il 2-3% della produzione totale) e il più vasto patrimonio di cultivar al mondo (almeno 350, ma si stima che siano più di 500). L’altra faccia della medaglia è una struttura a imbuto, con poco più di 800mila aziende olivicole di cui solo il 37% sarebbe in grado di sostenere la competitività del mercato, secondo un’analisi di Ismea, una frammentazione dei frantoi (circa 4.500, rispetto ai 1.600 della Spagna) e duecento confezionatori; una media di soli 1,5 ettari per azienda agricola, 4-5 volte inferiore alla Spagna. Le tendenze flessive sui prezzi (l’extravergine di Spagna e Grecia è ormai quotato sotto i 3 euro) si scaricano sulla vendita sottocosto. Le aziende stipulano accordi di filiera per migliorare la redditività agricola; puntano su qualità e trasparenza verso il consumatore, coinvolgendo la ricerca e le università per garantire valore nutraceutico lungo l’intera shelf-life, nonostante i paletti delle normative Ue per i claim. Federolio, Unaprol e Coldiretti hanno siglato un accordo sull’extravergine di oliva 100% italiano che, attraverso contratti di filiera, auspica una crescita della produzione nazionale fino a diventare sufficiente a soddisfare il bisogno nazionale. Federolio ha anche auspicato che il prodotto costituito con oli comunitari (principalmente un blend tra greco e spagnolo) possa avere una percentuale garantita di almeno 50% di olio italiano. Basteranno per il rilancio dell’extravergine?

Oleificio Zucchi, azienda a gestione familiare con sede e stabilimento a Cremona e oltre duecento anni di storia, vanta più di 200 milioni di fatturato e una presenza in 43 Paesi nel mondo. Le sue linee di produzione hanno oggi una capacità di circa 500 tonnellate/giorno raffinate e di 1.500.000 litri/giorno confezionati. Fiore all’occhiello, il più grande impianto di stoccaggio di olio extravergine a temperatura controllata (costante a 16°) in Italia, la Cantina dell’Olio, con una capacità di 4.800 tonnellate. Zucchi lavora con una filiera costituita da un centinaio di soggetti, tra conferitori e frantoi (64 aziende agricole, 5 frantoi, oltre a 4 Unioni Nazionali e 5 Organizzazioni Provinciali di olivicoltori). Sullo stimolo di Legambiente, con Csqa ha costruito un disciplinare che punta alla sostenibilità a 360 gradi, da quella ambientale (produzione integrata o biologica, impronta ecologica del prodotto, tutela della biodiversità, residuo zero), a quella sociale (lotta al caporalato, formazione), economica (prezzo equo, con un premio del 10-15% rispetto al mercato), qualitativa (specifici parametri nutrizionali). Nel 2018 ha tracciato anche il nuovo blend comunitario, garantito Csqa.

La filiera comunitaria si basa su sei gruppi di conferitori in Spagna e Grecia, cui fanno riferimento diverse cooperative e produttori. “Andiamo controcorrente ed è tempo di fare chiarezza -rimarca Giovanni Zucchi, vicepresidente di Oleificio Zucchi-: l’Italia non è autosufficiente ma si possono fare blend comunitari di alta qualità. Il disciplinare è sostanzialmente sovrapponibile a quello italiano con gli impegni di sostenibilità. Con una grande differenza, la remunerazione aggiuntiva: c’è ma è decisamente differente rispetto a quella per l’italiano proprio perché si vuole riconoscere la particolarità del nostro modello agronomico”.

Nata nel 1968 da una piccola azienda in Umbria, grazie a un progetto di due famiglie, Sabatini e Santirosi, Costa d’Oro negli anni 90 è diventata una società per azioni e oggi è legata al gruppo internazionale Avril, con un fatturato di 140 milioni di cui il 40% maturato con l’export. I suoi oli sono distribuiti in oltre 100 Paesi nel mondo. Costa d’Oro ha definito internamente i protocolli della sua filiera e il suo sistema interno di rintracciabilità, che sono stati certificati Iso 22005. L’azienda figura tra i primi cinque produttori di olio extravergine 100% italiano e l’obiettivo è potenziarne le vendite. “Il consumo dell’olio italiano cresce del +7,5% in un mercato che al contrario perde volumi nel suo complesso -rileva Ivano Mocetti, direttore generale-. I consumatori sono disposti a pagare un valore più alto per l’italiano, di qui la necessità di investire sulla filiera nazionale”. Per il 100% Italiano (Grezzo e Fruttato) ha puntato su un’organizzazione di filiera basata sulla trasparenza. Inserendo il numero di lotto del prodotto sul sito Internet il consumatore conosce, per esempio, data di raccolta e molitura, regione e provincia, cultivar, esatta localizzazione del frantoio. “Il prossimo anno questo sistema traccerà l’8% dei volumi globali” è la stima di Ivano Mocetti.

L’impegno si spinge alla sostenibilità: ha deciso di adottare la certificazione SA8000 e si è dotata di un proprio codice etico. La lotta integrata rientra nelle buone pratiche agronomiche che Costa d’Oro promuove nella filiera. “Per i residui di pesticidi nell’olio, imponiamo ai nostri fornitori valori limite più bassi di quelli indicati dalla normativa europea, in modo che i nostri prodotti possano essere importati in quegli Stati che hanno normative più restrittive -fa sapere Mocetti-. Stiamo anche definendo un programma di incentivi per la filiera, che coinvolga anche le tecniche di produzione e gli investimenti per diminuirne l’uso”. Forte è poi l’impegno sul bio. Costa d’Oro, che utilizza un impianto fotovoltaico che produce energia pulita e copre fino al 45% del suo fabbisogno energetico, è leader in Italia nel segmento dell’extravergine biologico, con due differenti proposte: il Grezzo Bio, un 100% Italiano, e il Biologico, di origine comunitaria e non comunitaria. “L’extravergine bio, come il 100% italiano, stanno crescendo e sono in controtendenza al mercato: Costa d’Oro è tra i fautori di questa crescita”, rileva Mocetti.

Montalbano Agricola Spa, 85 milioni di fatturato, quota export al 15-20%, sede e impianto produttivo a Vinci, è stata tra le prime aziende confezionatrici a garantire la tracciabilità di filiera attraverso un ente certificatore esterno, l’attuale BV. Per anni ha prodotto soprattutto private label, ma oggi punta sempre più sul proprio marchio Terre Nostre. Il suo core business è l’olio italiano: rappresenta circa il 73% dell’olio mediamente imbottigliato dall’azienda, che nell’ultimo esercizio è stato di circa 13 milioni di litri. In particolare controlla oltre il 50% dell’extravergine Toscano Igp presente sul mercato attraverso le tre cooperative socie, Cooperative Montalbano Olio&Vino, Terre dell’Etruria e Olma che contano circa 5.600 agricoltori-conferitori. All’ultima edizione del Cibus Montalbano ha presentato il progetto Terre Nostre: una linea di oli extravergini di oliva 100% italiani tracciati, certificati, controllati. Negli anni l’azienda ha selezionato i migliori frantoi operanti nelle regioni a più alta vocazione olivicola. Si tratta di frantoi certificati in grado di garantire l’origine delle olive e una qualità eccellente di olio extravergine di oliva. Per la completa tracciabilità del prodotto, attraverso il lotto di produzione presente in retro etichetta, il consumatore può conoscere il nome di chi ha coltivato le olive, il frantoio che le ha lavorate e chi ha confezionato l’olio.

La linea completa Terre Nostre comprende 13 extra vergini nazionali: Dop, Igp, Biologico, Novello, Grezzo e Filtrato. La filiera si avvale di un’importante struttura cooperativa pugliese, Finoliva Global Service, e dei frantoi selezionati negli anni presenti principalmente in Puglia, Sicilia, Calabria e Toscana.

“Il progetto Terre Nostre prevede solo extravergini 100% Italiani tracciati 22005 che devono rispettare un preciso profilo organolettico -fa notare Viviana Benvenuti, responsabile marketing e comunicazione per Montalbano-. In questo modo la qualità si conferma al centro del nostro progetto”.

Il mercato cerca superfood, che ha in casa. L’olio extravergine di oliva è alimento per cui l’Efsa ha riconosciuto un valore nutraceutico. Tra le oltre duecento sostanze che contiene, recentemente è stato scoperto l’oleocantale, che ha le stesse caratteristiche dell’ibuprofene (un antinfiammatorio usato come principio attivo di diversi analgesici).

Zucchi scommette sul valore nutrizionale, tanto da averlo inserito come parametro del disciplinare. E lo comunica al consumatore finale attraverso il QrCode, che legge le analisi del lotto (acidità, perossidi, delta K, polifenoli, pesticidi, misurazione del fruttato provenienza provinciale della cultivar). “Molto di più si potrebbe fare sul blend, prendendo spunto dal mondo del vino -commenta Giovanni Zucchi-. Raccontare il prodotto sarebbe un elemento di valorizzazione che limiterebbe la vendita sottocosto. Noi abbiamo un progetto in questa direzione. La difficoltà è che è molto complesso raccontare il profilo di gusto in etichetta a causa del regolamento Cee del ’91, nato per il timore di aggiunta di flavour artificiali che in quegli anni non erano verificabili. È una legge europea che andrebbe modificata e si troverebbe un consenso ampio. Oggi purtroppo siamo tornati a essere una filiera divisa: ci sono aziende che fanno l’ottanta per cento del venduto in promozione. Il riferimento ai polifenoli -aggiunge- viene utilizzato solo come indicatore di freschezza: per utilizzare il claim nutrizionale, in base alla normativa Ue, dovremmo garantire il valore indicato fino alla fine della shelf-life. E oggi non esiste un algoritmo predittivo che può stabilirlo”.

Questa limitazione frena anche Montalbano. “Abbiamo deciso di puntare su un’etichetta light -fa notare Viviana Benvenuti- e non ricorrere all’indicazione dei polifenoli e dell’acidità perché l’extravergine è un prodotto “vivo” che muta le sue caratteristiche nel tempo. Addirittura per garantire al consumatore le caratteristiche organolettiche del prodotto indichiamo in etichetta una shelf-life di 12 mesi, anziché 18 come invece fanno molti dei nostri concorrenti. Per quanto riguarda il gusto cerchiamo di proporre un prodotto ‘autentico’, dove l’amaro e il piccante sono le caratteristiche più importanti del vero 100% italiano”.

Costa d’Oro punta sulle collaborazioni con Università e Istituti di Ricerca (Perugia, Parma, Bologna) con l’obiettivo di migliorare l’aspetto nutraceutico dei suoi prodotti. Da queste sono nate, fra le altre, la linea dei non filtrati, segmenti di cui è leader tecnologico. Un prodotto che va incontro al consumatore più sensibile ai prodotti healthy. “Vale il dato scientifico emerso dagli studi avviati dal professor Montedoro dell’Università degli studi di Perugia e proseguiti dai professori Servili e Lercker riguardo al superiore contenuto di polifenoli dell’olio non filtrato sullo stesso olio filtrato e alla loro minore riduzione durante la shelf-life”, fa notare Ivano Mocetti.

Nel novembre 2015 Costa d’Oro ha lanciato la linea per vegani, con vitamina B12. “In futuro puntiamo a espandere la linea dei nostri oli salutistici e funzionali, oggi presidiata da Il Veg e Vitapiù, in Italia e nel mondo”, conclude il direttore generale.

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