La cooperazione agricola perde quota su F&V

Perde terreno la produzione ortofrutticola del mondo cooperativo. Secondo i dati dell’Osservatorio della Cooperazione Agricola Italiana elaborati da Nomisma e presentati oggi ad Expo, nel 2014 sono diminuiti sia il fatturato (-0,6%) che l’export (-1,2%) rispetto a quelli registrati l’anno precedente. Si tratta di un trend che, nel 2015 sembra destinato ad invertirsi grazie a nuove prospettive di mercato che si stanno sviluppando.

Le prospettive. «Nel periodo preso in esame – ha precisato Giorgio Mercuri, presidente di Fedagri-Confocooperative – l’andamento dell’export è stato condizionato dall’embargo russo e dalle difficoltà legate alla prima campagna estiva. Quest’anno, però, le cose stanno cambiando sia per la maggiore puntualità delle misure di sostegno europee ma anche per l’apertura di nuovi mercati come ad esempio quelli del nord-Africa. Nonostante l’incertezza politica di questi territori, alcuni dei nostri soci hanno aderito ad un progetto di sviluppo commerciale condotto da una catena di ipermercati francese che vuole implementare la sua presenza sul territorio maghrebino».

I dati relativi al 2014, che analizzano un campione di 386 aziende, ci parlano di un settore appesantito non solo dalle difficoltà dell’export ma anche da problemi più legati al modello produttivo italiano eccessivamente atomizzato.

Il trend. «Il 2014 – chiarisce Ersilia di Tullio, responsabile cooperazione di Nomisma – è stato l’anno in cui la crisi è arrivata anche nel settore agroalimentare e in particolare nel mondo dell’ortofrutta che rappresenta una fetta importante del mercato dell’export cooperativo con una quota del 42%. Ad influenzare l’andamento negativo di tutto il compoarto è stato il trend registrato per il mercato del fresco che ha sofferto molto di più in export rispetto a quello del prodotto trasformato. Più di tutti hanno sofferto ortaggi a causa della loro maggiore deperibilità rispetto alla frutta».

I marchi. I prodotti ortofrutticoli a marchio italiano sono quelli maggiormente diffusi sui mercati esteri basti pensare che ben un quarto dei prodotti esportati, il 26%, ha una denominazione di origine. I brand aziendali sono riusciti a ritagliarsi una quota sul totale dell’export del 41% contro il 31% dei prodotti senza marchio ed il 25% della private label.

In questo senso anche se l’ortofrutta trova, in uno strutturato rapporto con la Gdo, attraverso la private label, un ulteriore via di accesso al mercato; molto si sta tentando di fare attraverso lo studio di nuovi brand e di processi di differenziazione per alcuni prodotti che potrebbero ribaltare le logiche del prezzo che dominano il mercato dei prodotti senza identità dove alcuni competitor, come ad esempio, gli spagnoli, sono molto forti.

Le criticità. «Il 61% del campione intervistato – continua di Tullio – ha spiegato che, per il settore ortofrutticolo, il principale fattore di criticità esterno all’impresa che ne limita la competitività, è la guerra al ribasso dei prezzi condotta da alcuni Paesi. I prodotti italiani, non ancora affermati con politiche di brand, rientrano infatti, sulla piazza estera, nel panel delle commodity e come tali sono assoggettate alle logiche della concorrenza sul prezzo. Sicché da questo punto di vista il settore ortofrutticolo, in export, soffre più di altri quali, ad esempio i latticini o il vino che invece hanno tenuto bene».

Il 22% delle imprese produttrici di ortofrutta ha riscontrato che un limite alla competitività interno è dato dalla dimensione dell’impresa. Sono maggiormente penalizzati dal mercato quei produttori che, per essere troppo piccoli, non riescono ad avere adeguati volumi per il mercato.

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