L’olio italiano prova a tutelarsi con un registro per l’intera filiera

Basterà la pezza di un regolamento a disciplinare le vendite di olio extravergine italiano? Dopo le truffe perpetrate nel settore, con tanto di vignette pubblicate sul New York Times per denudare i veri o presunti meccanismi di mercato in questo comparto agroalimentare, l’olio made in Italy sta cercando nuove strade per affermarsi senza ambiguità. Come riferisce la Coldiretti, il decreto ministeriale 16059 dello scorso 23 dicembre ha recepito un regolamento di esecuzione Ue (299/2013), che a sua volta modifica un vecchio regolamento Cee sulle caratteristiche dell’olio d’oliva.

Il risultato di questi meandri burocratici è un rafforzamento dei controlli lungo l’intera filiera. Dal primo gennaio 2014, infatti, chiunque produca, detenga o commercializzi il prezioso liquido, così come l’olio di sansa, dovrà tenere registri telematici di carico e scarico sul Sistema informativo agricolo nazionale (Sian). L’obbligo peraltro comprende raffinerie, contoterzisti, sansifici, commercianti di olive, olivicoltori, ingrossando così le fila degli operatori contemplati dalle precedenti norme (unicamente frantoi, commercianti di prodotto sciolto e confezionatori). La registrazione, inoltre, si estende oltre le due categorie previste in origine. All’extravergine e all’olio d’oliva vergine, infatti, vanno a sommarsi tante altre varietà: Dop e Igp, sansa di olive, prodotto raffinato o composto di liquidi vergini e raffinati, vari tipi di olio di sansa. Dal primo gennaio 2014, inoltre, anche gli agricoltori che detengono in azienda prodotto sfuso, derivante da olive proprie e destinato alla vendita, devono annotare i relativi carichi e scarichi nel registro.

Questo sistema di registrazione, si legge in una nota di Coldiretti, «consentirà di tracciare tutto l’olio di oliva prodotto e commercializzato sul territorio italiano, contribuendo a rafforzare la trasparenza del settore e la certezza di scelta che mancano al consumatore». Il problema è proprio la diffusione delle attività illegali, con la vendita di oli spacciati per extravergini che, all’opposto, contengono miscele di varia e dubbia provenienza. Il risultato di questa concorrenza sleale è un abbassamento generale della qualità e dei prezzi. Di recente, l’Unasco (l’associazione dei produttori olivicoli) ha lanciato una “carta d’identità” per l’extravergine italiano, realizzando la piena tracciabilità degli oli di dieci regioni, grazie a un progetto cofinanziato dall’Ue e dal ministero delle Politiche agricole.

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