Made in Italy, ecco perché ha ragione Farinetti

Il patron di Eataly snocciola i numeri (non tutti esatti) dei primati italiani. In tempo di coronavirus una iniezione di fiducia e un motivo per rialzarsi

Può piacere o no, può convincere o no, ma Oscar Farinetti sa comunicare. E il messaggio riproposto in questi giorni sui social (è del 2015), in tempi di Covid-19 suona particolarmente utile. Sì, utile, perché in tempi difficili come questi – mentre il decreto della presidenza del Consiglio dei ministri di fatto estende la zona rossa all’intera Lombardia e a 14 province italiane – fare il punto sulle nostre potenzialità può risultare strategico. Se non salvifico.

I dati dei “primati italiani” che Farinetti riporta con tanta sicurezza (58mila specie animali; 140 cultivar di grano duro contro le sei degli Usa; le 7.000 specie di vegetali mangiabili contro le 3.300 del Brasile e così di seguito) sono stati commentati e contestati più volte e sicuramente le nostre condizioni climatiche (“i venti buoni dei nostri mari, i venti buoni delle nostre colline e delle nostre montagne“), creano una situazione unica al mondo, come unica – però – è quella di tanti altri Paesi, del Mediterraneo e no.

Eppure, quando il commento da quantitativo diventa qualitativo (“è a Pra di Genova il basilico più buono del mondo; in Abruzzo lo zafferano più buono, e in Calabria la liquirizia  figlia dello Ionio e delle Alpi Apuane; in Sardegna il mirto più buono e in Sicilia il Pachino“), un po’ viene da crederci. Anzi, viene da confermare che è proprio così!

E, oggi più che mai, contro le certificazioni aggiuntive per i nostri prodotti agroalimentari, contro le diffidenze e le difficoltà che frenano l’export e favoriscono le pratiche sleali, serve fare squadra, serve ribadire che il made in Italy è unico e inimitabile. Poi, ok, non saremo il Paese con la maggiore biodiversità al mondo, ma siamo italiani. Gente che di agricoltura ne sa qualcosa.

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