Agrinsieme Romagna: il nuovo coordinatore è Paolo Pasquali

È Paolo Pasquali, presidente dell’Unione agricoltori di Ravenna, il nuovo coordinatore di Agrinsieme il sistema di rappresentanza del settore agricolo, nato un anno fa e costituito da Cia di Forlì-Cesena, di Ravenna e di Rimini; Confagricoltura Forlì-Cesena/Rimini e Ravenna; Confcooperative di Forlì-Cesena, di Ravenna e di Rimini; Agci di Forlì-Cesena/Rimini e di Ravenna/Ferrara; Legacoop Romagna.

Chiamato a succedere all’uscente Danilo Misirocchi, dovrà districarsi negli ormai annosi problemi della produzione romagnola di frutta e verdura che patisce i colpi sempre più duri della crisi economica aggravata dall’introduzione dell’embargo che ha compresso ancora di più il mercato interno a causa del sopraggiungere di nuovi competitor usciti da quello sovietico. Lo scenario è quello di un sistema frammentato di piccole e medie imprese a prevalente conduzione familiare che fa fatica ad aprirsi varchi internazionali e in cui piccole variazioni della produzione possono comportare crolli dei prezzi anche del 50%.

«Ogni riduzione del fatturato – esordisce Pasquali – determina seri problemi. Si fa persino fatica ad ammortizzare gli investimenti in tecnologia che hanno interessato più o meno tutte le aziende per questo come Agrinsieme proseguiremo con i progetti di facilitazione del credito. Abbiamo buone risposte da parte degli istituti bancari della regione anche perché il settore agricolo è quello che soffre di meno rispetto agli altri ma convinciamoci che non esistono delle zone franche nella nostra realtà economica. Quello che oggi è un settore privilegiato domani potrebbe non esserlo più».

Quali linee guideranno il suo operato alla guida di Agrinsieme Romagna?

«Intendo proseguire sul solco tracciato dal mio predecessore nella profonda convinzione che è fondamentale fare squadra e che ognuno deve continuare a svolgere il proprio ruolo. Dobbiamo renderci conto che quello che sta avvenendo nella nostra agricoltura è qualcosa di epocale e non ha precedenti nella nostra tradizione. Occorre conquistare la consapevolezza che non tocca agli agricoltori sostenere tutto il peso dell’indotto. I soldi nel comparti ancora ci sono ma vanno spostati sulla prima parte della filiera».

Che tipo di interventi servirebbero per ridare fiato alle aziende?

«Stiamo cercando di capire cosa produrre che possa dare risposta direttamente al mercato. Dobbiamo programmare la riconversione varietali dei nostri campi ma le nostre aziende sono per lo più piccole strutture che non possono essere modificate in tempi rapidi».

Sulla spinta verso nuovi modelli aggregativi?

«Si fa fatica a trovare risposte in questo senso. Noi raccogliamo il 40% della produzione. Vorrà dire che batteremo nuove strade per rendere economicamente più attrattiva la partecipazione alle o.p. e tentare do ridurre i volumi di produzione che fanno leva sull’abbassamento dei prezzi».

E sul fronte internazionalizzazione?

«So che ci sono dei tentativi di approcciare nuovo mercati ma la filiera nel comparto non si sta organizzando per incrementare l’export».

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