Si dice che la domanda dell’oro cresca particolarmente nei momenti di crisi, come si addice ai beni-rifugio. Ma c’è un “oro” che prescinde dalle congiunture mondiali, un “oro d’autunno” che risponde al nome di kaki: non solo un frutto in terra di Romagna, ma un elemento fortemente identitario che da un secolo –da quando venne scoperto all’ambasciata giapponese– rappresenta più di molte altre produzioni il legame fra gli agricoltori romagnoli e il loro territorio. Ed è su questo profondo legame e sulle sue potenzialità che poggia la strategia del Gruppo Alegra, insegna sotto alla quale si trovano brand come Alegra, Valfrutta Fresco e Brio, assieme ai soci produttori di Agrintesa, che scelgono di investire sul futuro di questo frutto prettamente autunnale per quanto la sua disponibilità riguardi un calendario limitato nel tempo, con una campagna commerciale che abbraccia al massimo una 90ina di giorni.
I numeri del kaki italiano a Faenza
Non è un caso che l’iniziativa parta da Faenza, cuore delle attività di Agrintesa, che con 300 ettari coltivati e una produzione annua che si aggira attorno alle 7mila tonnellate, pari a circa il 10-15% del volume complessivo nazionale, è indubitabilmente leader assoluta del kaki made in Italy. “Da sempre -spiega Cristian Moretti, direttore generale di Agrintesa- la cooperativa Paf, una delle coop dalla cui fusione è nata Agrintesa, è stata leader nazionale nel comparto del kaki, ma la nascita di Agrintesa ha consentito una più ampia aggregazione di diversi areali, dal faentino al ravennate, dal forlivese al modenese, più una produzione dell’Osas di Castrovillari che ci consente di coprire la parte finale del calendario facendo contemporaneamente fronte alla concorrenza dalla Spagna”.
E c’è un altro dato a conforto della rinnovata fiducia nel futuro del kaki: secondo uno studio NielsenIQ, a fronte della domanda su quale sia il loro frutto preferito, il 12% dei consumatori italiani interpellati ha indicato proprio l’oro d’autunno, e questo nonostante (o forse proprio in ragione di essa) la sua limitata disponibilità annuale. Che si tratti della varietà a polpa molle Loto di Romagna -il cosiddetto “tipico”- o della Rojo Brillante a polpa soda, arrivata negli anni ’60 dalla Spagna e che oggi rappresenta circa il 45% della produzione, l’appeal del kaki sembra non tramontare, anche per quanto riguarda i produttori.
Quando avviene la raccolta del kaki e quali sfide
I motivi sono presto detti: la campagna del kaki occupa un periodo del calendario quasi fermo, quando la raccolta di mele e pere è quasi al termine e quella del kiwi, specialmente del verde Hayward, deve ancora entrare nel vivo. Il kaki inoltre non soffre di particolari patologie, il che lo rende adatto a una filiera integrata e a una produzione biologica che per Alegra vale il 10-12% del totale, commercializzato con i marchi Brio e Alce Nero.
Sempre in questa ottica il kaki non ha particolari esigenze quanto a terreni e impianti ed è abbastanza resistente agli sbalzi climatici, così che lo si può coltivare anche nelle zone collinari e pedecollinari lasciando gli areali di pianura a disposizione di produzioni maggiormente delicate quali drupacee, kiwi e fragole. “La gestione del kaki -prosegue Moretti- non è facile. La natura stessa del prodotto, che prima di venire immesso sul mercato necessita di una fase di stufatura, impone una forte programmazione nelle forniture e nei rapporti con i rivenditori, anche perché tendenzialmente la domanda nella gdo, dove il kaki è stato uno dei primissimi frutti a venire proposto in vassoi filmati, si concentra nel fine settimana”.
A Faenza l’hub tecnologico del kaki
Il progetto punta a fare di Faenza l’hub tecnologico del kaki italiano grazie all’avvio, previo un investimento attorno ai 2 milioni di euro, di un paio di nuove linee di lavorazione parzialmente automatizzate, dotate dell’altissima tecnologia provveduta dal sistema Apricot Vision 3.0 di Unitec e destinate a diventare il fulcro dell’intera filiera. Ogni frutto quindi viene sottoposto a una preselezione automatica prima di approdare al processo di stufatura -altra attività nella quale Agrintesa e le realtà che l’hanno preceduta sono pioniere- e migliorando in questa maniera l’uniformità del prodotto, ottimizzando i tempi di lavorazione e riducendo gli sprechi.
Le due linee garantiscono una capacità di lavorazione di 8 tonnellate all’ora, con picchi che possono superare le 100 tonnellate al giorno, senza per questo eliminare del tutto la fase finale manuale della lavorazione, che del kaki è una delle cifre distintive. “Questa azienda –sottolinea Enrico Bucchi, direttore generale di Valfrutta Fresco– non si limita a produrre kaki ma esprime una leadership importante che poggia su una filiera autentica, capace di muovere 500 quintali di prodotto alla settimana.
Le prospettive di crescita del kaki in Italia e all’estero
Il kaki ha ancora ampi margini di crescita, non solo sul mercato italiano ma anche su quelli esteri, dove viene diretto il 40% della produzione con un trend costante di crescita verso clienti consolidati come Svizzera e Francia. È su questa leadership che vogliamo fondare il nostro progetto di partnership strategica con la gdo scommettendo su fondamentali valori aggiunti: l’italianità al 100% del prodotto, la sua tipicità come espressione di un territorio, la forza del brand con cui viene commercializzato come Valfrutta o Alce Nero, e la valorizzazione del suo impiego in cucina. Elementi chiave per dare rinnovato slancio a un prodotto che ancora oggi rappresenta l’autunno italiano per eccellenza”.












