Vernocchi (Apo Conerpo): “Più fondi Ue alle Op che vogliono crescere” #vocidellortofrutta

Il presidente a tutto campo sulle nuove sfide, la Pac, il Green Deal, il taglio agli agrofarmaci, le Tea, l’Ocm ortofrutta. “Investiamo 1,2 milioni all’anno nella ricerca, ma occorre maggior sostegno a tutela della filiera”

Davide Vernocchi, presidente della Op Apo Conerpo
Davide Vernocchi, presidente di Apo Conerpo

Il vento nuovo che soffia a Bruxelles sui temi della sostenibilità è bene accolto da diverse associazioni di categoria. Ma rimangono sul tavolo diverse partite importanti che possono dare slancio al settore ortofrutta: dalla questione della paventata revoca di molti principi attivi alla nuova Pac, fino allo sdoganamento delle Tea, una carta importante per contrastare fitopatie e cambiamento climatico. Ne parliamo con Davide Vernocchi, presidente di Apo Conerpo.

Ritirato il proposito del taglio degli agrofarmaci del 50% entro il 2030, ora la Commissione Ue sembra più conciliante sul tema. Eppure oggi diverse associazioni e Op continuano a far sentire la propria voce. Cosa è cambiato e cosa chiedono?

Il Parlamento europeo ha respinto il piano originario e con l’arrivo del commissario Hansen si è aperta una nuova fase, con segnali più dialoganti. Tuttavia la macchina comunitaria ha ancora un’inerzia importante: si continua a ragionare secondo vecchi schemi e le dinamiche già avviate procedono secondo l’impulso precedente. Così facendo, però, si lasciano i produttori ortofrutticoli sempre più esposti agli effetti del cambiamento climatico, alle fitopatie, ai parassiti e alle avversità che minacciano ogni giorno le nostre produzioni.

Il presidente di Fedagripesca Confcooperative, Raffaele Drei, ha proposto una moratoria di cinque anni sul processo di revoca dei principi attivi. È d’accordo?

Assolutamente sì. Nei prossimi due anni saranno sottoposti a revisione circa 40 principi attivi tra insetticidi, fungicidi e diserbanti. E ogni volta che ci tolgono una molecola, rischiamo di perdere un’intera coltura. Consideriamo che in Italia coltiviamo circa un centinaio di specie ortofrutticole: un patrimonio straordinario di biodiversità che va tutelato.

Il paradosso è che oggi abbiamo tecnologie avanzate per la distribuzione degli agrofarmaci, che garantiscono sicurezza per gli operatori e per l’ambiente. Sono tecnologie spesso finanziate con fondi pubblici, ma che poi non possiamo valorizzare appieno nel processo produttivo.

Come Apo Conerpo, quali strategie state adottando per ridurre l’uso degli agrofarmaci?

Da anni investiamo in ricerca per individuare soluzioni sostenibili, ma i tempi della scienza non sempre coincidono con quelli della produzione. Stiamo investendo oltre 1,2 milioni di euro all’anno, collaboriamo con i principali istituti pubblici e privati e continuiamo a puntare con decisione sulla produzione integrata. Del resto, vale la pena ribadirlo, nessun produttore ha interesse a usare più chimica del necessario: aldilà del costo, resta il fatto che il frutteto è il nostro ufficio, il nostro ambiente di lavoro. Ma dobbiamo poter disporre di ciò che serve per proteggere le colture, il lavoro dei produttori e il valore di una filiera strategica, anche per la sicurezza alimentare europea.

Il via libera del Consiglio Europeo al mandato negoziale sulle nuove tecniche genomiche apre nuovi scenari. È davvero una svolta?

Sì, è una svolta che attendiamo da tempo: già all’avvio del Green Deal e della strategia Farm to Fork avevamo posto il tema. Ora finalmente il percorso normativo si sta sbloccando. Le Tea (Tecniche di evoluzione assistita) rappresentano un’opportunità importante per ridurre l’uso degli agrofarmaci in modo strutturale. Ma servirà tempo: si parla di almeno 5-10 anni per arrivare a una reale applicazione produttiva. Proprio per questo diventa ancora più urgente una moratoria almeno quinquennale sulla revoca dei principi attivi.

Sta circolando l’ipotesi di un’unificazione tra i fondi Pac e quelli per la coesione. Quali rischi vede?

È un’ipotesi molto preoccupante. Se Pac e Fondi di coesione dovessero confluire in un unico budget, il pericolo è che, in un contesto segnato da continue emergenze geopolitiche, le risorse vengano deviate altrove o intercettate da altri soggetti. Per l’agricoltura sarebbe un colpo durissimo.

Oggi l’ortofrutta beneficia di 291 milioni di euro annui attraverso l’Ocm. Basterà per affrontare le sfide future?

Il primo punto è che il budget resti aperto, come avviene attualmente. Un tetto rigido genererebbe un’incertezza insostenibile per le imprese. Ma se vogliamo davvero rafforzare il grado di aggregazione del comparto, allora dobbiamo aumentare le risorse disponibili. È una condizione necessaria per stimolare processi virtuosi.

Sul futuro dell’agroalimentare europeo da qui al 2040, il commissario Hansen ha parlato anche, seppur timidamente, di incentivare l’aggregazione. Cosa si dovrebbe fare concretamente per rafforzare la cooperazione?

L’aggregazione è l’unico vero strumento per competere in un mercato globale. Se vogliamo uscire dalla logica della “nicchia”, non esistono alternative. Ma deve essere un’aggregazione autentica, radicata nei territori, non formale. Significa valorizzare i prodotti dei soci, generare economie di scala e affrontare insieme ricerca, innovazione, vincoli normativi e sfide di mercato.

Oggi molte Op mostrano fragilità: la dimensione economica media resta troppo bassa. Servono soglie minime di riconoscimento e un sostegno concreto alle realtà che vogliono davvero crescere, non solo intercettare risorse. Solo così si rafforza il sistema, si costruisce competitività e si tutela la filiera. Le istituzioni devono accompagnare questa evoluzione con politiche premianti, non penalizzanti.

 

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