Agrinsieme: sostenere il made in Italy con produzione e distribuzione solide

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Liberarsi in primo luogo dai “falsi miti” che connotano una immagine del comparto agricolo, oscurando altri pezzi di verità che si preferisce non mettere in luce. E poi superare oneri e costi della burocrazia, eliminare le strutture intermedie, aumentare la dimensione economica delle imprese, creare una agenzia per l’internazionalizzazione dell’agroalimentare. Misure che hanno tutte un unico comune denominatore: liberare risorse utili per dare linfa alle imprese attraverso investimenti finalizzati alla crescita e allo sviluppo del comparto.

È questa la strada che le organizzazioni riunite in Agrinsieme (Confagricoltura, Cia e Alleanza delle cooperative Agroalimentari) hanno illustrato lo scorso 18 novembre 2014 all’Auditorium della Conciliazione di Roma nel corso di un confronto con cinque esponenti del governo: il ministro delle Politiche del lavoro Giuliano Poletti, delle Politiche agricole Maurizio Martina, della Salute Beatrice Lorenzin, dell’Ambiente Gianluca Galletti e con il vice ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda.

«Siamo fermamente convinti – ha dichiarato il coordinatore di Agrinsieme Mario Guidi – che è proprio facendo leva sui suoi veri punti di forza che l’agroalimentare, in questa fase delicata, può essere determinante per l’economia italiana. C’è un enorme potenziale di crescita sui mercati internazionali, ma la forza del brand del made in Italy non è oggi supportata da una produzione e distribuzione altrettanto solide». Come è stato messo in luce nel Rapporto Agrinsieme-Nomisma “Operazione verità”, nonostante le esportazioni agroalimentari italiane abbiano registrato una crescita negli ultimi 10 anni, la quota di mercato detenuta dall’Italia a livello mondiale è diminuita dal 3,3% al 2,6%. E se gli scambi commerciali a livello internazionale dei prodotti agroalimentari sono triplicati, paesi come Cina e Brasile sono cresciuti a ritmi molto più veloci del nostro.

Per fortuna la domanda alimentare all’estero è in continua crescita. Se da un lato ci sono buone potenzialità di sviluppo tutte da cogliere, dall’altro le inefficienza di sistema sono altrettanto numerose e radicate. Ecco perché se davvero si vuole posizionare l’agroalimentare al centro del sistema economico e sociale, non è sufficiente secondo Agrinsieme dare attuazione soltanto a interventi specifici del settore. «È quanto mai imprescindibile – spiega Guidi – un vero e proprio cambio di rotta per la sostenibilità e la continuità dell’agroalimentare italiano. Un cambio di rotta che faccia leva su un mix di scelte di contesto, macroeconomiche, logistiche, infrastrutturali e ambientali».

Alcuni esempi: in Italia il costo dell’autotrasporto è in media di 1,59 € a chilometro, in Germania 1,35 € e in Francia 1,32. Il costo dell’energia elettrica per uso industriale in Italia è superiore del 30% rispetto alla media europea. Notevoli anche i costi e i ritardi dovuti alla burocrazia: emblematico il numero dei giorni necessari per esportare via nave, che vanno dagli 8 del Regno Unito ai 9 della Germania, ai 10 di Francia e Spagna, per finire con i 19 giorni necessari per l’Italia.

Necessario inoltre che vengano realizzati interventi, radicali e coraggiosi, nell’ambito del settore pubblico. C’è una complessità di soggetti che a vario titolo sono impegnati nel supporto al sistema agricolo e agroalimentare: il Ministero delle politiche agricole, le Regioni, gli altri Ministeri, insieme ad una serie di strutture intermedie, ossia di soggetti che  un tempo svolgevano una funzione pubblicistica, ma che oggi appaiono superate e rappresentano spesso solo un onere in termini di costi sulle aziende e di appesantimento burocratico, facendo perdere ancora una volta competitività ed opportunità di mercato alle imprese agroalimentari.

Altrettanto necessari appaiono poi gli interventi sul mercato del lavoro, cominciando dallo snellimento degli adempimenti amministrativi per la gestione dei rapporti di lavoro stagionali e di breve durata.

Infine, c’è la strada maestra delle aggregazioni, che è uno dei pilastri su cui fonda il cambio di rotta tracciato da Agrinsieme. Le imprese che operano nel comparto alimentare sono troppo piccole. La superficie media delle imprese agricole italiane non supera gli 8 ettari ed è tre volte inferiore a quella della Spagna (24 ettari) e molto di sotto a quella di Francia (54) e Germania (56). Anche questo costituisce un forte limite nel momento in cui proprio alla dimensione aziendale sono correlate una serie di elementi centrali per la competitività delle imprese, in primis le capacità finanziarie e di investimento e la possibilità di rispondere ai volumi richieste da grandi piattaforme logistiche e distributive. Il tessuto produttivo dell’agroalimentare italiano è troppo frammentato ed è per questo che Agrinsieme punta su un’agricoltura che opera in logiche di aggregazione e di filiera, sia consolidate sia nuove.

Alcuni recenti dati elaborati dalla Commissione europea hanno dimostrato che nei Paesi in cui è maggiore la quota di mercato detenuta dalle cooperative agroalimentari, maggiore è anche il livello dei redditi degli agricoltori. In questo contesto, in Italia la cooperazione agroalimentare italiana svolge un ruolo di primissimo piano con quasi 6mila realtà, 35 miliardi di euro di fatturato e quasi 100mila occupati, veicolando circa il 38% della produzione agricola nazionale.

«E da qui, da questo nuovo modello di agroalimentare proposto da Agrinsieme – conclude Guidi – che possono arrivare un forte impulso e un contributo determinante per la ripresa economica e per il rilancio dell’intero sistema Paese».

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