Nel comparto specifico dell’uva da tavola una delle fasi più delicate e critiche è senza dubbio quella del post-raccolta: conservazione e shelf life possono rappresentare il discrimine tra la possibilità di raggiungere mercati lontani e spesso redditizi oppure restare costretti a un raggio di export più limitato. Il motivo è facilmente intuibile: a differenza di altre categorie dell’ortofrutta, l’uva da tavola è particolarmente delicata e deperibile, e la spedizione di carichi di prodotto per farli arrivare a destinazione in pessimo stato certamente non aiuta né a conservare i clienti né a promuovere la reputazione del made in Italy agroalimentare. Ma in questo processo irto di insidie, quale contributo può fornire agli operatori del settore la tecnologia?
Il ruolo della tecnologia nella fase di post-raccolta
A quanto pare molto più di quanto non si potesse credere. “Di qui ai prossimi anni –spiega il professor Giancarlo Colelli, docente di Impianti per il condizionamento post raccolta all’Università di Foggia– la competizione a livello mondiale nell’ambito dell’uva da tavola sarà sempre più stringente. Investire sulla gestione del post-raccolta e sull’estensione della shelf-life, però, potrebbe fare la differenza. Specialmente per mantenere alta la qualità e ridurre le perdite causate da funghi e deterioramento, attraverso tecniche avanzate di raffreddamento e imballaggio innovative.
Durante la fase post-raccolta, il decadimento della qualità si manifesta con l’imbrunimento del rachide, principalmente dovuto alla disidratazione, ai possibili cambiamenti di colore della buccia, ma soprattutto alla colonizzazione da parte di diversi funghi. Una corretta gestione della fase post-raccolta, al fine di limitare l’incidenza di funghi e muffe, è essenziale a garantire la qualità e la commerciabilità del prodotto. In particolare, è fondamentale il raffreddamento rapido in tunnel di aria forzata per raggiungere la temperatura di 1-2 °C all’interno dell’acino, entro 6 ore dalla raccolta, a cui deve seguire la conservazione in cella frigorifera a -1-0 °C con umidità relativa al 90-95%. Un raffreddamento ritardato porta a maggiore disidratazione e imbrunimento del rachide. Meno consigliato è il sistema di raffreddamento ad acqua, sia per le oggettive difficoltà di uno sgrondo efficace dell’acqua in eccesso – e i conseguenti risvolti in termini di crescita fungina – sia perché l’uso dell’acqua porterebbe a disordini strutturali della pruina, lo strato di cera naturale presente sugli acini, con conseguente formazione di macchie e forte peggioramento dell’aspetto esteriore del grappolo, soprattutto nelle varietà non pigmentate”.
L’Intelligenza Artificiale aiuterà a predire la shelf life del prodotto
Due sono principalmente le frontiere che la tecnologia mette a disposizione per sostenere gli operatori nella fase di post-raccolta: la digitalizzazione e l’impiego dell’ozono. Ed entrambe le vie sono, in Italia, oggetto di ampia e ben avviata ricerca. Nel primo caso secondo il professor Vito Gallo, docente di Chimica al Politecnico di Bari, delegato del rettore per il Pnrr e vicepresidente della Fondazione Ita Agripuglia, “il brevetto da noi presentato introduce un metodo e un dispositivo innovativi che consentono di determinare in tempo reale la conservabilità di un lotto di uva da tavola, sia in campo che in cella e predire il numero di giorni residui di commerciabilità del prodotto, ottimizzando la gestione logistica. Il dispositivo sfrutta l’analisi metabolomica, una tecnica che permette di monitorare i metaboliti dell’uva, fornendo una panoramica completa della sua composizione biochimica. Questo approccio consente di rilevare rapidamente la propensione del prodotto a resistere al deperimento. L’innovazione principale del brevetto risiede nel sistema informatico avanzato, basato su algoritmi di intelligenza artificiale. L’Ai elabora i dati ottenuti dall’analisi metabolomica, generando previsioni precise sulla shelf-life dell’uva. Grazie all’uso dell’analisi metabolomica e dell’intelligenza artificiale, si offre una quindi soluzione avanzata e innovativa per migliorare la qualità e la sostenibilità del settore”.
In cella e in campo: il duplice contributo dell’ozono
Nel secondo caso invece è Antonio Coletta, ricercatore del Crea – Consiglio per la Ricerca in Agricoltura e l’Analisi dell’Economia Agraria, a parlare del duplice impiego che è possibile fare dell’ozono: “Gli ambiti di applicazione dell’ozono sono due, quello della pre-frigoconservazione e quello dell’uso in campo. Nel primo caso abbiamo testato l’effetto sui residui di fitofarmaci dell’utilizzo di acqua ozonata con tempi e concentrazioni diverse di lavaggio. Il prodotto trattato è stato rappresentato da bacche spedicellate di uva da destinare a confezioni di uva ready to eat e il risultato è stato che le molecole sono state degradate in maniera diversa e una in particolare è scomparsa alla rilevazione analitica. Quello dell’applicazione diretta in campo invece è un settore non ancora ben conosciuto perché ci sono dei potenziali rischi sulle concentrazioni di ozono che possono essere fitotossiche. Abbiamo testato alcune soluzioni di acqua ozonata su uva da tavola e abbiamo riscontrato effetti positivi sull’ incremento di colorazione di uve che hanno difficoltà a colorare e raggiungere gli standard di colore di mercato. A sostegno dell’impiego dell’ozono in entrambi i casi, infine, c’è il suo bassissimo impatto ambientale, in quanto la molecola dell’ozono viene in pochissimo tempo trasformata in ossigeno”.
Un packaging innovativo può essere d’aiuto
C’è però un terzo elemento che può pesare in maniera decisiva sulla capacità di conservare l’uva da tavola, ed è il packaging. La conoscenza della scienza dei polimeri, oggi, consente di ottimizzare i materiali per il packaging sia quanto a funzionalità che riguardo la sua sostenibilità. “Nuove classi di polimeri – sottolinea Marco Scatto, consulente scientifico dell’Istituto Italiano dell’Imballaggio – possono essere scelte per realizzare un packaging monomateriale riciclabile. A tal proposito esiste una nuova proposta di Regolamento Europeo su imballaggi e rifiuti di imballaggio che punta a prevenire la produzione di questa tipologia di rifiuti e promuovere il riciclo di alta qualità, ovvero rendere tutti gli imballaggi presenti sul mercato Ue riciclabili in modo economicamente vantaggioso entro il 2030. Ciò porterebbe a una riduzione complessiva dei rifiuti nell’Ue del 37% circa rispetto allo scenario che si prospetterebbe senza una modifica della normativa. Se verranno messe in atto le misure proposte, stima la Commissione Europea, entro il 2030 le emissioni di gas effetto serra dovute agli imballaggi si ridurranno a 43 milioni di tonnellate, rispetto ai 66 milioni di tonnellate che si avrebbero se la legislazione non venisse modificata. Il consumo di acqua si ridurrebbe di 1,1 milioni di metri cubi, mentre i costi dei danni ambientali per l’economia e la società si ridurrebbero di 6,4 miliardi di euro rispetto allo scenario di base per il 2030”.
Il fattore ΔT
Infine per minimizzare le perdite per traspirazione è essenziale mantenere l’umidità relativa negli ambienti di conservazione sempre al di sopra del 90%. L’umidità dell’aria nelle celle è influenzata in maniera determinante dalla scelta delle caratteristiche termodinamiche e progettuali degli scambiatori in cui evapora il fluido frigorigeno. Tra i criteri di progettazione degli evaporatori riveste particolare importanza la differenza di temperatura (ΔT) tra la superficie di scambio e la temperatura dell’aria dell’ambiente di conservazione: per elevati valori di ΔT il vapore acqueo contenuto nell’aria condensa sull’unità di raffreddamento (spesso sotto forma di brina), diminuendo progressivamente. “Al contrario – conclude il professor Colelli – con bassi ΔT si può potenzialmente incrementare l’umidità relativa ambientale”.