Presentato Italian Agrifood Technology for Africa, un progetto che mira a realizzare una rete di imprese italiane (non concorrenti) delle filiere dell’agrifood. E che intendano allargare la propria area di business nei Paesi dell’Africa subsahariana, dove creare una partnership strategica.
A tessere le fila Renzo Piraccini in veste di consulente della nuova società, Piraccini Agrifood Consulting. Una nuova sfida dopo l’esperienza di Macfrut con le dimissioni da amministratore delegato che ha tenuto a chiarire: “Ho presentato un piano di sviluppo triennale e identificato un percorso per il mio avvicendamento graduale con un manager esperto di ortofrutta, ma gli azionisti di maggioranza hanno espresso idee diverse e, come in tutte le aziende dove la proprietà non condivide le strategie dell’amministratore delegato, ho rassegnato le mie dimissioni”.
Le opportunità

Gli elementi che suggeriscono le opportunità di business per il know how delle imprese italiane sono diversi, come ha spiegato Piraccini alla presentazione. A cominciare dalla popolazione africana, che sta crescendo rapidamente: “un miliardo e 400 milioni di persone che entro il 2050 arriveranno a circa 2 miliardi e mezzo”. Alcuni dei Paesi africani, come il Kenya, hanno un incremento del pil che l’Italia poteva vantare nel suo boom economico negli anni 60, ovvero dal 6 all’8% annuo. E per molti di loro il 50% dell’occupazione deriva dal mondo agricolo. Quello che manca è però l’organizzazione di filiera, la tecnologia e qui l’Italia può inserirsi, portando la sua qualità dove invece da anni cinesi e indiani hanno il controllo con forniture però di basso livello.
“L’ortofrutta necessita, per esempio, di una catena refrigerata, ma circa un terzo dei prodotti oggi si perdono prima di arrivare anche al mercato interno”. Irrigazione, catena del freddo, post raccolta, certificazioni, formazione, macchine e tecnologie sono tutti gli ambiti dove il know how e la qualità italiana possono portare sviluppo. “Paradossalmente oggi gran parte della frutta che viene consumata nei Paesi africani viene importata. In un paese come l’Angola, Paese ricco, solo il 4% delle terre vengono sfruttate a uso agricolo e la gran parte della frutta che si trova nei supermercati è importata prevalentemente dal Sudafrica ma non solo”. Non va dimenticato poi l’interesse italiano a importare prodotti tropicali di qualità, a cominciare da avocado, mango. “A parte il Sudafrica, che è già un mercato conosciuto, Senegal, Costa d’Avorio, Kenya, Tanzania, sono oggi in grado di attrarre investimenti internazionali. Un elemento importante è che in Africa si sta realizzando un mercato unico africano”.
Il progetto biennale
Il progetto ha individuato tre hub strategici nell’Africa Subsahariana, Dakar, in Senegal, per la parte francofona, Nairobi, in Kenya, per quella anglofona, e Johannesburg per l’Africa del Sud. Tre anche gli eventi annuali di promozione e networking, con la collaborazione di esperti internazionali, che saranno anche momenti di approfondimento tecnico scientifico. “Contiamo entro metà dicembre di chiudere la rete, l’idea è quella a gennaio 2026 di cominciare operativamente con l’attività e a febbraio-marzo prevediamo di fare le prime presentazioni. Il progetto si concluderà alla fine del 2027”. Nessuna chiusura rigida, ma un “tagliando” per verificare i risultati e decidere poi cosa fare. “La rete, con costi contenuti, è rivolta a tutte le aziende italiane delle filiere dell’agrifood, in particolare quella dell’ortofrutta, anche se possiamo immaginare di allargare a qualche altra filiera sinergica.” Dunque tecnologie in campo, come biosoluzioni, aziende post raccolta, trasformazione, packaging, logistica, soprattutto refrigerata, enti di formazione, assistenza post vendita. “Mi auguro che ci siano le condizioni per lavorare anche con l’Agenzia italiana di cooperazione dello sviluppo, con gli uffici Ice”.
Le testimonianze italiane da Kenya e Senegal
Luca Alinovi, agronomo, un passato alla Fao e oggi ceo di Aflabox, da Nairobi, Kenya, ha raccontato la sua esperienza. “Vedo una grandissima opportunità nell’interfaccia Italia-Kenia e Kenya soprattutto come hub regionale per l’Africa orientale. Sono almeno 20 anni che il suo pil cresce mediamente del 5% all’anno e più del 20% è costituito dall’agricoltura. E inoltre fa il 14-17% del prodotto interno lordo dell’Africa intera. È il primo esportatore in Africa di avocado, esporta circa 65 mila tonnellate in Italia. Opportunità importanti ci sono per i fagiolini, le erbe in controstagione. Ma non c’è alcun vivaio di avocado che sia tecnologicamente comparabile a quello dei grandi Paesi produttori, la qualità dei sistemi di storage è medio-bassa. C’è scarsissima assistenza tecnica e la tecnologia, cinese o indiana, scadente, è di difficile accesso”.
Carlo Baroni, esperto manager agritech, fautore del progetto Irritec Senegal per i sistemi di irrigazione avanzati e di precisione, ha raccontato il suo punto di vista da Dakar, Senegal. “Qui abbiamo una quantità di terreno non coltivato a disposizione di chi voglia investire in ortofrutta: più del 60% di terreno arabile è abbandonato. Ci sono temperature e condizioni climatiche per produrre ortofrutta su grande scala. Ma ci mancano le strutture, l’organizzazione della catena del freddo, la formazione, c’è una bassa organizzazione. I cinesi stanno facendo la parte del leone, ci sono prodotti e servizi indiani, tecnologia e servizi sono a basso costo. Nell’Africa occidentale il Senegal è il Paese più sviluppato, ma abbiamo la Mauritania in grande espansione, la Guinea e anche il Mali”.












