La richiesta di Fichi di Cosenza dop cresce in Italia. Il prodotto, disciplinato per quanto riguarda il solo frutto essiccato, non riesce però a rispondere con una produzione adeguata. Un problema legato al cambiamento climatico, a colture che necessitano di ottimizzare le rese e (non da ultimo) allo spopolamento delle campagne.
Sperimentazione vs cambiamento climatico
Il Consorzio di tutela dei Fichi di Cosenza dop, assieme all’Azienda regionale per lo sviluppo dell’agricoltura calabrese e all’Università degli studi mediterranea di Reggio Calabria, ha messo a punto il Centro sperimentale di Casello San Marco Argentano, dove si studiano soluzioni per fronteggiare i problemi sopra elencati. Per quanto riguarda i fichi sono stati adottati impianti bassi, in futuro coperti da pannelli fotovoltaici che riducono l’impatto diretto del sole e un’irrigazione a basso consumo. I risultati? Resa oltre che doppia (fino a 140 quintali per ettaro) rispetto alle coltivazioni comuni. Così si risponde ai picchi di caldo del meteo estremo che colpisce il Sud Italia, senza risparmiare la Calabria. I suoi effetti sulla pianta? Perdita di foglie, frutti piccoli o che non arrivano a maturazione, buccia coriacea. “Servono impianti per avere rese maggiori -evidenzia il professor Rocco Mafrica, dell’Università degli studi mediterranea di Reggio Calabria-. Specie nei primi anni, abbiamo bisogno di tecniche più moderne, orientate alla riduzione dei costi. Nei campi sperimentali stiamo cercando di aumentare anche la densità delle piante”.
La tradizione del fico a Cosenza e il crollo delle superfici coltivate
Una produzione con una tradizione, quella del fico di varietà dottato nella provincia di Cosenza. Nel passato le coltivazioni di fichi del cosentino coprivano 1.400 ettari. Lo spopolamento delle campagne ha portato a una sensibile riduzione: si è scesi fino a meno di 400. “Fino agli anni ‘50 la provincia copriva il 20% della produzione nazionale -spiega Angelo Rosa, già presidente del consorzio Fico Essiccatura del Cosentino-. Il decremento è stato costante e legato alla fuga dalle campagne e alla sostituzione del fico con colture giudicate più produttive come l’olivo”.
La sfida che viene dalla Turchia
Ora, grazie anche agli sforzi del Consorzio, la produzione è tornata a crescere fino a coprire i circa 1.000 ettari attuali. Ma il problema è far fronte a un mercato che cerca il prodotto, con un’offerta che non regge il passo. Servono investimenti. “Secondo le nostre proiezioni -racconta Emanuele Spada, professore dell’Università degli studi mediterranea di Reggio Calabria-, investendo per realizzare una coltivazione di fichi, il capitale impiegato viene recuperato in soli 2 anni, a differenza di altre produzioni come l’olivo. In Italia abbiamo perso il 94% delle superfici coltivate a fico dal 1970, eppure siamo uno dei maggiori importatori di prodotto dalla Turchia”. Per fornire dei numeri, l’Italia importa il 95% dei fichi secchi che consuma dal Paese mediorientale, senza poter sempre accertarsi del rispetto delle norme a tutela della sanità delle colture.
Un cambio di passo sulla comunicazione: il Fichi festival di Cosenza
Per fare conoscere il prodotto, il consorzio promuove da 4 anni il Fichi festival, un evento specifico per far conoscere questa specialità essiccata. “Non ci siamo mai saputi raccontare sebbene produciamo bene -ammette Gianluca Gallo, assessore alle politiche agricole della Regione Calabria -. A volte il fico fresco è stato venduto sfuso ad altri che poi lo hanno valorizzato a loro vantaggio. Continueremo a finanziare il Fico di Cosenza dop perché ha lavorato bene”.
		










