L’agricoltura moderna segue le nuove possibilità che offre la tecnologia. Per avere prodotti più sostenibili, senza residui di agrofarmaci e con maggiori proprietà nutritive. Un esempio arriva dal Veronese con My Eden, una vertical farm familiare, guidata dai fratelli Massimo e Nicolò Menini, 43 e 35 anni, che ha puntato su un modello più leggero, scalabile, senza i grandi investitori a supporto. E ha individuato nel business i germogli. Ma il futuro riguarderà anche le aromatiche per fornire, questo l’obiettivo, anche la gdo, come ci racconta Nicolò.
Come nasce questa idea di fare del vertical farming?
L’azienda è nata originariamente nel 2018 insieme a un altro socio. Abbiamo fatto due-tre anni di test, poi c’è stato il Covid, abbiamo chiuso e siamo ripartiti nel 2025 io e mio fratello con un aiuto diverso. Io sono laureato in finanza, facevo il consulente finanziario; mio fratello è agrotecnico e proveniamo da una famiglia di enologi e biotecnologi. La passione per gli acquari mi è servita molto per tutto l’aspetto della fertilizzazione e gestione dell’acqua che è il know-how principale a oggi per poter essere sostenibili.
Nel lontano 2018 siamo partiti insieme con grandi player. Noi abbiamo sviluppato però un’idea di business completamente diversa: non credo molto nel vertical farm come è inteso oggi, ossia prima si raccolgono milionate e dopo si vede come va. È poco sostenibile a mio avviso e i numeri lo stanno confermando negli ultimi anni.
E su cosa si basa il vostro business?
Siamo ad Affi, sulla sponda veronese del lago di Garda. Abbiamo sviluppato la tecnologia praticamente “dal primo all’ultimo bullone” e abbiamo collaborato con l’Università di Verona. Non acquistiamo fertilizzanti da nessuno ma ce li autoproduciamo, un grosso vantaggio a livello economico. Le strutture che abbiamo sviluppato sono abbastanza semplici, permettono di essere modulabili e scalabili facilmente, senza bisogno di grossi interventi. Credo che si debba competere con l’agricoltura e non con la Nasa, quindi più riusciamo a ridurre i costi maggiore è la possibilità di stare in piedi anche con dimensioni ridotte.
Quale tecniche utilizzate, quale il plus?
Noi utilizziamo un sistema di ebb and flow, un metodo di coltivazione idroponica, un flusso e riflusso, con cicli definiti in base alla cultura e alle necessità rispetto alla pianta. Ci siamo specializzati sui germogli, cercando di competere con il mercato olandese che ormai domina. Siamo riusciti a produrre con le loro tecniche quindi su un substrato sterile, ma utilizzando un sistema di vertical farm che ci permette di avere rese enormi in spazi piccoli e un prodotto di qualità decisamente superiore spingendo il germoglio a una crescita velocissima, quindi con gusti, profumi, durata molto superiori rispetto all’offerta che ad oggi.
Facciamo degli esempi.
Il basilico: con la nostra tecnologia riuscivamo a produrre da 3 a 5 kg per metro quadro. A oggi non facciamo più basilico tagliato ma in scatola simile al germoglio, utilizzando substrati sterili.
Quali sono le varietà di germogli prodotte?

Stiamo commercializzando all’incirca una decina di varietà. Facciamo un mix composto principalmente da nasturzio, cipolla, senape e cavolo; un altro mix con pisello e borragine e poi una linea di varietà singole di tutte quelle che produciamo. Ne abbiamo altre già pronte.
Per quali canali producete?
Al momento distributori per l’horeca al 90%. Abbiamo appena chiuso un contratto con un distributore di Treviso, ne chiuderemo un altro con uno di Brescia. Stiamo spedendo anche per la Sicilia. Nei supermercati non stiamo lavorando: sarà uno step successivo, spero nel breve.
Con quali prodotti pensate di entrare anche nella gdo?
Vorremmo strutturarci principalmente con le aromatiche, oltre che con i germogli. I volumi ci sono, la nostra tecnologia è talmente semplice e scalabile che ci mettiamo pochi giorni, qualche settimana, a poter raddoppiare i volumi.
Abbiamo affittato un magazzino seminterrato di un capannone, anche perché per noi è un vantaggio climatico lavorare sottoterra, di circa 300-400 metri quadri. Dal punto di vista dell’energia elettrica è interamente sostenuto da pannelli solari, quindi non consumiamo corrente in acquisto.
Quali sono i vostri progetti futuri?
Le idee di sviluppo futuro possono essere molteplici e le stiamo valutando. Per esempio, hub localizzati in regioni differenti, cercando di ridurre al minimo lo spostamento su ruota. È quello che il vertical farm dovrebbe fare e non sta facendo. È inutile produrre nella campagna con un contadino a fianco che fa insalata a 10 centesimi e la mette sul tuo stesso camion e tu la fai pagare 3 euro! Non vogliamo fare il passo troppo grande, non siamo alla ricerca di investitori. L’importante è riuscire a stare in piedi, fornendo il mercato italiano, Nord Italia in primis.
C’è così interesse per i germogli?
Sta esplodendo, anche noi siamo rimasti meravigliati ed è per quello che abbiamo puntato il 100% su questo settore. La ristorazione sta ampliando le vedute, non si parla più di stellato, ma anche una marea di piccoli locali che hanno interesse nella sostenibilità, nel vegano, nella nutrizione di un certo tipo. Abbiamo anche molti privati che ci stanno chiedendo la possibilità di comprare il prodotto. Non è più solo un accessorio del piatto.
Come si presenta il vostro prodotto?
Esce a nostro marchio, My Eden. La scatola è molto particolare e ci identifica. È in cartone plastificata all’interno, perché avendo acqua è impossibile non farlo, con un coperchio aperto sopra per permettere al germoglio di respirare, a forma di foglia, il nostro simbolo. Il logo fa capire che è un prodotto agricolo-industriale. Abbiamo avuto richieste da grandi distributori per produrre a loro nome, ma cerchiamo di tenere il nostro marchio, perché vogliamo essere riconoscibili e poter scalare a livello locale e nazionale.












