I dazi di Trump preoccupano l’agroalimentare ma non l’ortofrutta

Su 6 miliardi di export di frutta e verdura made in Italy solo 40 milioni vanno agli Usa, trainati dai kiwi, ricorda il presidente di Fruitimprese Marco Salvi

L'accordo Ue-Usa prevede dazi generalizzati del 15% per le esportazioni di prodotti europei negli Stati Uniti
L'accordo Ue-Usa prevede dazi del 15% per le esportazioni di prodotti europei negli Stati Uniti

Dopo tanto girare, la pallina della roulette dei dazi Usa sembra si sia fermata sulla casella 15 (per cento). Ma l’accordo trovato tra Europa e Trump istituisce una tariffa che è praticamente il triplo di quella media attualmente in vigore per buona parte delle merci italiane. E allarma, pertanto, l’agroalimentare made in Italy che nel 2024 ha esportato negli Stati Uniti prodotti per 7,8 miliardi di euro.

Le ricadute su vino, olio, formaggi, pasta e riso

Parla di “resa” il presidente di Cia-Agricoltori Italiani, Cristiano Fini, anche se prima di trarre conclusioni definitive invita ad “aspettare gli sviluppi dei prossimi giorni, con la definizione ufficiale delle liste doganali”. A ulteriore motivo di preoccupazione la svalutazione del dollaro, che rischia di far pagare i prodotti italiani ancora più cari agli americani, penalizzando ulteriormente l’impatto delle misure doganali.

Secondo Cia, l’impatto dei balzelli colpirà fortemente il vino: gli Usa sono la prima piazza mondiale, con circa 1,9 miliardi di euro di fatturato nel 2024. Gli Stati Uniti rappresentano poi il principale mercato extra-Ue per l’olio tricolore, con una quota di circa 100 mila tonnellate l’anno e un valore vicino a 1 miliardo, ovvero il 32% del nostro export. Ad approfittarsene potrebbero essere Paesi come la Turchia, la Tunisia o il Sud America che hanno prodotti  più economici e tariffe più basse. Nel settore caseario, per l’associazione, i dazi colpiranno soprattutto i formaggi Dop  (anche se su Parmigiano e il Grana padano, esisteva già un dazio specifico del 15%), come la mozzarella di Bufala, oltre al Pecorino romano utilizzato soprattutto dall’industria. In pericolo anche pasta, riso e farine, tra i prodotti più amati dal mercato Usa, con un export annuo di circa 2 miliardi e quasi mezzo milione di tonnellate inviate Oltreoceano.

Usa toni meno allarmistici Coldiretti. “È sicuramente un accordo migliorativo rispetto all’ipotesi iniziale del 30% che avrebbe causato danni fino a 2,3 miliardi di euro per i consumatori americani e per il made in Italy agroalimentare -fa sapere il presidente Ettore Prandini-. Tuttavia il nuovo assetto tariffario deve essere accompagnato da compensazioni europee per le filiere penalizzate anche considerando la svalutazione del dollaro. Dobbiamo poi capire bene i termini dell’accordo e soprattutto leggere la lista dei prodotti agroalimentari a dazio zero sui quali ci auguriamo che la Commissione Ue lavori per far rientrare, ad esempio, il vino”.  Coldiretti rilancia poi l’azione contro il falso made in Italy. “In un mercato già invaso da prodotti come il parmesan o il romano cheese made in Usa, dobbiamo portare avanti un’azione strutturale per promuovere il made in Italy autentico e contrastare l’italian sounding, che negli Stati Uniti provoca ogni anno perdite stimate in oltre 40 miliardi di euro” dichiara il segretario generale, Vincenzo Gesmundo.

Gli effetti sull’ortofrutta

Non sembra invece preoccupato il settore ortofrutta. “L’Italia esporta ortofrutta per 6 miliardi -riflette Marco Salvi, presidente di Fruitimprese-. Il kiwi è l’unico prodotto per cui gli Stati Uniti sono deficitari e quindi importano dal nostro Paese prodotti per poco più di 40 milioni”.

Per Salvi dalle misure daziarie potrebbero sorgere addirittura delle opportunità, se sapremo cavalcarle: “Dobbiamo accelerare l’apertura dei dossier fitosanitari per aggredire nuovi mercati. Uno degli ultimi aperti è quello con il Messico per i kiwi, che sta dando molte soddisfazioni e verso il quale speriamo che si possa arrivare presto anche con le nostre mele ed eventualmente le pere. Ci sono altri mercati nel Sudest asiatico dove piacciono molto le nuove varietà di kiwi, quelle più dolci, e l’uva da tavola, con le tante cultivar apirene che si prestano anche a trasporti più lunghi.  Occorre anche riuscire a riaprire il mercato australiano all’export dei nostri kiwi bloccato dall’introduzione della richiesta di un trattamento di fumigazione che in Europa è vietato”.

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