Il modello emiliano romagnolo per invertire la rotta della filiera ortofrutticola italiana

Durante il Grande Viaggio Insieme, organizzato da Conad, è stata presentata una ricerca di Aaster con i risultati dello studio socio-economico sul comparto dell’ortofrutta

L’edizione 2019 del Grande Viaggio Insieme organizzato da Conad affronta il tema delle filiere agroalimentari. E per parlare di filiere ortofrutticole la tappa di Forlì del 14 e 15 giugno cadeva a pennello. Perché l’Emilia-Romagna è la prima regione per superfici destinate alla produzione di frutta (16% del totale nazionale), le sue aziende hanno una dimensione media di 3,7 ettari, più che doppia rispetto alla media nazionale (ferma a 1,8) e vicinissima a quella della Spagna (3,9 ha).

Oltre all’intervento di Pugliese, amministratore delegato Conad, nella due-giorni romagnola Conad ha presentato i risultati dello studio socio-economico sul comparto dell’ortofrutta e sulle dinamiche che ne regolano il funzionamento affidato all’istituto di ricerca Aaster.

Un momento della tappa di Forlì del Grande Viaggio Insieme di Conad

La ricerca Aaster ha coinvolto grandi realtà produttive, gruppi cooperativi, coltivatori e trasformatori, scavando a fondo tra i problemi di un settore complesso, che nei mercati globali subisce l’efficienza dei competitor stranieri, e in casa è drogato dalle storture di un mercato che troppo spesso antepone alla qualità la quantità a basso costo. Attraverso le testimonianze raccolte si intravvedono, però, soluzioni per invertire la rotta.

I numeri della filiera ortofrutticola italiana

Più di 318mila imprese, quasi 472 mila occupati, un fatturato di 14,7 miliardi di euro (per le società di capitali), in crescita del 3,2% tra il 2016 e il 2017. Sono i numeri della filiera ortofrutticola italiana, settore che coinvolge il 5,1% delle aziende nazionali, la stragrande maggioranza delle quali operanti nell’area agricola. Con un giro di affari di 3,6 miliardi di euro e 7,2 milioni di tonnellate prodotte ogni anno, il comparto della frutta rappresenta una fetta importante di questo mercato. Un comparto che ancora accusa i colpi della crisi, e soffre nell’export la concorrenza di realtà ben più strutturate. L’Italia è il settimo esportatore mondiale di frutta fresca, al terzo posto in Europa, ma distanziata da Paesi Bassi e Spagna.

Il modello Emilia Romagna funziona

Il fatturato medio di una cooperativa agricola al Sud è di 1,9 milioni di euro all’anno, contro i 17,4 del Nord

Mentre il Mezzogiorno appare ancora penalizzato dalle piccole dimensioni delle sue imprese è l’Emilia Romagna a indicare la via maestra per superare la debolezze della filiera ortofrutticola italiana. Le esperienze di aggregazione produttiva, gli investimenti in qualità e sostenibilità, un maggiore sforzo di pianificazione anche in concerto con la gdo possono, infatti, diventare la chiave del rilancio per l’intero settore.

Simona Caselli, assessore all’Agricoltura della Regione Emilia-Romagna

La regione conta 26 Organizzazioni di produttori (Op) che rappresentano assieme a quelle del Trentino-Alto Adige il 60% delle aziende agricole nazionali, e sei Associazioni di organizzazioni di produttori (Aop), un terzo di quelle nazionali. Qui sorgono realtà cooperative importanti come Apofruit, Agrintesa, Agribologna, che in virtù dei loro numeri riescono a fronteggiare il mercato, organizzare il lavoro secondo logiche di pianificazione, e, come nel caso di Apofruit e Agrintesa, offrire ai coltivatori servizi di protezione, come polizze che contro le calamità naturali o la volatilità dei prezzi.

L’Emilia-Romagna, poi, si contraddistingue anche come territorio di innovazione. Oltre agli investimenti nel settore bio, che in tre anni ha visto un aumento del 95% delle superfici coltivate, il sapiente utilizzo dei fondi comunitari ha permesso la nascita di 93 gruppi operativi di innovazione, che condividono sperimentazioni su metodi di coltivazione, conservabilità dei prodotti, nuove forme di produzione di energia e nuovi packaging. E proprio su temi come il packaging e la sostenibilità e si giocherà il futuro del settore. Ne sono consapevoli le aziende, che, come sottolinea l’indagine di Aaster, stanno sperimentando metodi di coltura finalizzati alla tutela o al ripristino della biodiversità, abbinate a politiche di crescente riduzione dell’uso di agrofarmaci, e studiano nuove confezioni per i loro prodotti, nella consapevolezza che tra le determinanti delle scelte di consumo di frutta vi è proprio l’aspetto legato alla biodegradabilità delle confezioni.

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