Imballaggio in cartone ondulato, più shelf life e bassa water footprint

Al riscaldamento globale e all’inquinamento si aggiunge un’altra emergenza per la salvaguardia del pianeta e della presenza dell’uomo, cioé l’acqua dolce e l’uso sempre più intensivo che se ne fa nei processi produttivi, in particolare nella filiera agroalimentare.

La water footprint (impronta idrica) di un vegetariano corrisponde a 1.500/2.600 litri di acqua al giorno, contro i 3.000/5.000 litri di una persona con un’alimentazione a base di carne (fonte: studio Barilla Center for Food & Nutrition).

Tra i fattori che incidono sulla sostenibilità ambientale della filiera nelle fasi successive alla produzione anche l’imballaggio sia per la materia prima di cui è composto sia per l’incidenza sulla shelf life del contenuto.

Secondo un’indagine affidata da Bestack, consorzio non profit di ricerca che riunisce a livello nazionale i produttori di imballaggi in cartone ondulato per ortofrutta, all’Università di Bologna, dipartimento di Scienze e tecnologie agroalimentari, l’utilizzo di imballaggi in cartone ondulato aumenta il grado di conservabilità dei prodotti ortofrutticoli del 20% rispetto ad altri packaging. A ciò va aggiunta la riciclabilità di questo materiale.

Ma quanto pesa, in termini di water footprint, questo comparto produttivo? Uno studio di Assocarta ha misurato l’impronta idrica delle aziende italiane che producono cartone ondulato e ha messo in luce che dagli anni Settanta a oggi questa si è ridotta dei tre quarti.

Un ulteriore studio promosso da Bestack e condotto dal Politecnico di Milano è andato a misurare, nello specifico, la water footprint del comparto italiano del cartone ondulato per ortofrutta. È emerso che per produrre un imballaggio si consumano 8 litri di acqua: questa è l’impronta idrica rilasciata dal processo di trasformazione da cartone ondulato in fogli a cassa, un consumo basso se si considera che per farsi una doccia di 5 minuti un individuo consuma dai 75 ai 90 litri di acqua.

Scendendo nello specifico, la Water Footprint di un imballaggio in cartone ondulato per ortofrutta si divide fra diretta e indiretta: quella diretta è appunto quella legata al processo di trasformazione da cartone in fogli a cassa, quella indiretta invece è legata al consumo di acqua dolce per la selvicoltura e la produzione di materia prima vergine (carta). Nel caso del cartone ondulato, l’impatto ambientale va considerato in termini positivi, per le peculiarità stesse di questa filiera: le aziende italiane che producono cartone ondulato, infatti, fanno ricorso a materia prima vergine proveniente da foreste gestite in modo sostenibile, con piani di reimpianto superiori a quelli di taglio.

Inoltre nella definizione di impronta idrica è fondamentale la localizzazione geografica dei punti di captazione della risorsa: la carta proviene dalle foreste della Scandinavia, un Paese molto ricco dal punto di vista idrogeologico (diverso, in proporzione, sarebbe l’impatto di un bene prodotto in un Paese caratterizzato da scarse riserve di acqua).

«Scegliere prodotti che hanno un impatto ambientale in generale, e idrico in particolare, più contenuto è il primo atteggiamento virtuoso da adottare per andare verso consumi alimentari più consapevoli e sostenibili – dichiara il direttore di Bestack, Claudio Dall’Agata -. Una filiera ortofrutticola più sostenibile è quella dove innanzitutto ci sono meno sprechi alimentari: in questo il ruolo dell’imballaggio è fondamentale. È importante scegliere una confezione che consenta di mantenere frutta e verdura nelle condizioni ottimali, al fine di evitare che esse diventino spazzatura. Una cassetta di cartone ondulato in più costa solo 8 litri di acqua. Una mela buttata perché ammaccata 125 litri, una pesca ammuffita 140 litri».

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