EcoOrt: l’ultima generazione della refrigerazione

Allungamento della shelf life fino al 40%; riduzione degli scarti fino al 70%; minore perdita di peso dei prodotti anche del 35%; risparmio energetico per la refrigerazione fino al 20%.

Queste le performance attese dalle nuove celle di refrigerazione a cui sta lavorando il progetto di ricerca EcoOrt.

La tecnologia. Si tratta di una mega cordata tra aziende, enti di ricerca tra cui l’istituto agronomico del mediterraneo (Iam) e il Cnr di Bari, ed enti pubblici, nata con l’obiettivo di sviluppare una nuova tecnologia di refrigerazione passiva arricchita dall’introduzione dell’ozono per la creazione di container e di celle frigorifere in grado di conservare le merci senza l’uso della tradizionale ventilazione a freddo ma con il rilascio graduale ed omogeneo della temperatura all’interno delle celle.

In questo modo si arresta praticamente il processo di deperimento dei prodotti ortofrutticoli, anche di quelli più delicati come le fragole, ad esempio, o il radicchio, o ancora, i funghi, che possono risultare perfettamente integri anche dopo 45 giorni.

Nuovi mercati. EcoOrt, insomma, potrebbe cambiare il volto dell’import-export ortofrutticolo aprendo porte fino ad oggi considerate proibite per i prodotti F&V italiani più delicati come, ad esempio, i fichi pugliesi che – proprio per la loro alta deperibilità – fino ad oggi non hanno avuto nessuno sbocco sul mercato estero. E sarà una rivoluzione sostenibile per leaziende se si considera che le piastre refrigeranti hanno una grande autonomia dal momento che possono funzionare anche senza essere alimentate dalla corrente dai 30 ai 45 giorni comportando risparmi sulla spesa energetica fino al 20%.

«Le merci conservate nei container a cui è stata applicata questa nuova tecnologia – spiega Thaer Yassen, il ricercatore dello Iamb che segue questo progetto – possono arrivare in condizioni perfette anche in mercati lontani come ad esempio i paesi del golfo o la Russia. Non che fino ad oggi non ci arrivassero, ma i sistemi di refrigerazione tradizionale non riuscivano a garantire un buon livello di qualità del prodotto sicché, in Turchia ad esempio, dove pure c’è una grande richiesta di ortofrutta italiana, le merci dei paesi vicini, come l’Egitto, trovavano una migliore distribuzione pur non potendo competere con le nostre sul piano della qualità».

Il brevetto. La tecnologia di base delle celle a refrigerazione passiva è stata brevettata dall’ingegnere milanese Alberto Ghiraldi e, soltanto due anni fa, ha incrociato quella sperimentata nei laboratori dello Iamb e basata sull’impiego dell’ozono.

La nuova applicazione, nata dall’incontro di questi due know-how, è attualmente in fase di brevettazione e il futuro brevetto – le cui procedure dovrebbero essere già formalizzate nell’incontro organizzato apposta del prossimo 15 gennaio – avrà due padri: Ghilardi e lo Iamb.

A dire la verità EcoOrt ha già attirato l’interesse di grandi aziende del mercato di import-export ortrofrutticolo mondiale, come ad esempio quello della multinazionale Thermoking che ha un fatturato di circa 12 miliardi di dollari. L’azienda, infatti ha già comprato a Ghilardi la licenza per produrre dei container a refrigerazione passiva che saranno presto immessi nel mercato.

Mentre l’applicazione dell’ozono nei processi di refrigerazione passiva ha già attirato l’interessamento di De Nora NEXT (specializzata nel supporto di sistemi tecnologici a basso impatto ambientale per l’agricoltura, il trattamento e la sanificazione alimentare) che punta a conquistare la fornitura di ozono nello scale-up dei nuovi container che potrebbero vedere la luce, al termine della ricerca, già prima dell’estate.

La cordata veneta. Come pure entro l’estate potrebbe essere completato il prototipo di cella frigorifere che sfrutta questa stessa tecnologia attualmente in fase di sviluppo nei laboratori di Geofur, un’organizzazione di produttori veronese che per questa ricerca ha ricevuto un finanziamento dalla regione Veneto nell’ambito del programma di sviluppo rurale 2007-2013 attraverso la Misura 124.

Geofur è capofila di una cordata regionale composta, fra gli altri, il Consorzio di tutela radicchio rosso di Treviso e Variegato IGP, Confcooperative regionale e provinciale, Confagricoltura Verona, OP Nordest e Verona Innovazione, Ortoromi, produttori di IV gamma, il Mercato Ortofrutticolo di Bassano del Grappa e Verona Innovazione.

«Il nostro obiettivo – spiega Cristiana Furiani di Geofur – è di sviluppare grandi celle che possano contenere fino a mille quintali di prodotto. Lo scopo è di usare minori trattamenti sui prodotti durante la coltivazione e riuscire comunque ad ottenere una riduzione degli scarti di lavorazione che possono assumere un peso significativo sulle vendite soprattutto quando le condizioni climatiche sono difficili. Le piastre con cui vengono ricoperte le celle, raffreddano la temperatura in maniera omogenea, non lasciano passare umidità e d evitano l’eccessivo carico di freddo derivato dai vecchi sistemi a ventilazione. La sperimentazione sulle celle è più complicata di quella sui container data la loro maggiore capienza. Una cella, in pratica, ha la capienza di circa 30 camion. La sfida è cercare di capire con quale velocità le piastre riescono a raffreddare questa mole di prodotto e se riescono a conservarlo».

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