Nuovo regolamento Ue sul Bio, l’intesa dei ministri

È un testo di compromesso quello che il Consiglio dei ministri dell’agricoltura europei ha varato nei giorni scorsi e che si discosta significativamente dall’impostazione iniziale più rigida della proposta di modifica del regolamento Ue formalizzata dalla Commissione europea a marzo 2014.

I contenuti. Il testo varato al termine della sessione di lavori lussemburghesi del Consiglio di Agrifish, dai rappresentanti governativi dei 28 Paesi, è frutto di un’intesa che prevede, fra l’altro, l’eliminazione del sistema dei controllo annuale attualmente vigente e la sua sostituzione con quello dell’analisi del rischio. In pratica, l’obbligo di un controllo annuale per le aziende biologiche rimane un requisito fondamentale ma gli Stati Membri potranno dilazionare le ispezioni fisiche solo in caso di aziende a basso rischio fino ad un massimo di trenta mesi. Il testo dà, inoltre, l’ok ad estendere le superfici coltivate a Bio che qui trova in tutti gli attori della filiera italiana, una piena adesione e che apre la porta alle major del Bio Ue.

Tra le novità più importanti rispetto all’attuale normativa si registra la modifica del regime di importazione dei prodotti biologici, perseguita dall’Italia con grande determinazione. In futuro, i prodotti biologici potranno essere importati solo in regime di conformità con applicazione delle stesse norme produttive europee o da Paesi con i quali siano stati sottoscritti accordi di reciprocità. I produttori europei saranno così maggiormente garantiti sul mercato internazionale e ai consumatori sarà assicurata più trasparenza.

Altra novità assoluta è l’introduzione della certificazione di gruppo, volta a consentire un accesso più facile per le piccole aziende produttrici nel settore del biologico.

Il mercato Ue. «Il testo varato – ha affermato Paolo Carnemolla, presidente di Federbio – è positivo rispetto all’impostazione iniziale penalizzante che aveva dato la Commissione europea. Il via libera all’incremento delle superfici coltivate a Bio è una risposta sensata che bisognava dare di fronte alla situazione del mercato attuale caratterizzata da una crescente domanda a cui si fa fronte spesso con importazioni da altri paesi per mancanza dell’offerta».

Un fattore questo che aprirà le porte alla produzione su larga scala a livello europeo con l’obiettivo di acquisire una maggiore indipendenza dai mercati extra Ue, come ad esempio quelli maghrebini, dove le regole della certificazione Bio sono meno rigide di queste stabilite dai principi comunitari.

Le misure. «Al fine di raggiungere questo obiettivo precisa Andrea Bertoldi, coordinatore del settore Biologico dell’Alleanza delle cooperative agroalimentari – è però necessario che siano messi in atto strumenti di sostegno che compensino la perdita di reddito per le imprese che, convertendosi al biologico e assicurando un preciso impegno temporale verso tale tipo di produzione, devono sostenere notevoli costi ed oneri burocratici».

Meno entusiasmo per il punto sui controlli alle certificazioni, che prevede l’introduzione dell’analisi del rischio in sostituzione dei controlli annuali su spinta di Paesi importatori di materie prima del nord-Europa come la Germania, l’Olanda e la Danimarca che invece puntavano a rendere questi controlli più leggeri.

«Quello dell’allentamento dei controlli – spiega Paolo Parisini, presidente della Federazione nazionale dell’agricoltura biologica di Confagricoltura – è la nota dolente di quest’intesa. È innegabile che l’impianto legislativo comunitario andava riformato anche perché tarato per piccole imprese produttrici ma piuttosto che spingere verso la semplificazione tout court sarebbe stato auspicabile un sistema basato su controlli mirati e puntuali per ogni singola azienda».

Il caso Italia. Cade in un nulla di fatto la battaglia made in Italy collocata all’eccesso opposto del testo varato e portata avanti nel corso del semestre italiano di presidenza europea che puntava ad estendere a tutti i Paesi europei, attraverso un processo di armonizzazione delle discipline statali, i rigidi paletti sulle cosiddette “contaminazioni casuali” previste proprio nella normativa italiana. Una rigidità che il semestre di presidenza italiano ha pagato con la mancata intesa sul Biologico che invece è riuscita a portare a casa la presidenza lettone.

L’eccesso di rigidità non piace neanche agli stessi attori della filiera italiana intenta a guadagnare competitività sul mercato. È di due giorni fa la richiesta di Federbio al ministro Martina (avanzata durante l’Expo) per la rimozione  di questi paletti alla competitività anche nel Belpaese.

Le richieste interne. Sulla stessa linea di Federbio anche l’alleanza delle cooperative che, sempre per bocca di Bertoldi rimarca come il testo varato «non ci trova pienamente soddisfatti perché lascia tuttora irrisolta la questione della presenza di sostanze e prodotti non autorizzati nei prodotti biologici, materia sulla quale manca di fatto un’armonizzazione a livello comunitario, dal momento che solo l’Italia e pochi altri Paesi hanno deciso di fissare per legge una soglia massima di contaminazione».

Secondo alcune indiscrezioni, su questo punto, però, Martina sarebbe stato possibilista che però ha ottenuto dall’intesa sul Bio una sorta di deroga al mercato comune solo per l’Italia dal momento che il testo varato dal Consiglio di Agrifish ammette la sopravvienza di regolamenti nazionali più rigidi (come quello italiano), se approvati entro il 2015, fino al 2020. Da quella data dovranno essere improrogabilmente sostituiti. Sempre se questo testo rimarrà lo stesso dopo l’iter legislativo europeo.

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