Un progetto lucano per rilanciare la produzione frutticola in Sardegna

Con il rilancio delle terre incolte o malcoltivate della Sardegna, il Consorzio vivaisti lucani punta a rimettere in carreggiata circa 30mila ettari di terreni proponendo varietà di mandorli, cachi, albicocchi e agrumi ad alta resa e un protocollo di coltivazione sostenibile.

Il mercato sardo. L’iniziativa, che in un anno ha già raccolto l’adesione di 4 nuovi investitori per circa 20 ettari di terreno, tra l’Ogliastra e il cagliaritano, si pone come obiettivo di soddisfare la domanda interna regionale che viene gonfiata dall’imponente flusso turistico di circa 20 milioni di visitatori annui contro una popolazione residente di circa 2 milioni di persone.

«La Sardegna – spiega Vito Vitelli, direttore del Consorzio Vivaisti della Lucania – ha delle potenzialità incredibili. Ha una quantità molto vasta di terreni inutilizzati o male utilizzati e dall’atra parte ha anche i “consumatori” che vanno a trovarli “in casa”. È bastato fare due più due. Le novità varietali proposte da consorzio, incontrano non solo terreni fertili ma anche le condizioni pedoclimatiche ideali per trapiantare cachi, albicocchi e mandalate, i mandarini che maturano tardivamente (febbraio-marzo) e che per questo vengono venduti ad un prezzo 4 volte superiore a quello relativo al raccolto tradizionale».

Il protocollo. In questi giorni, nelle aziende coinvolte, è partito il trapianto delle novità varietali. Oltre agli innesti il consorzio propone anche un protocollo produttivo a cui l’agricoltore può aderire o meno.

«Il protocollo – continua Vitelli – aumenta la densità di impianto da una media attuale di circa 400 unità per ettaro a 800-900. Oltre a questo offriamo dei servizi di assistenza e consulenza al produttore per ottimizzare le rese perchè uno dei principali problemi in agricoltura è la mancanza di informazione tecnica».

Tra le azioni suggerite, implementare l’efficienza del sistema di irrigazione con un impianto di distribuzione a microportata localizzata; meccanizzare alcune fasi produttive come il cosiddetto “toping” (potatura per il controllo dell’altezza degli alberi); introdurre porta-innesti non resistenti bensì tolleranti ai parassiti di modo che se anche le piante venissero attaccate la produzione non subirebbe un danno economico.

Il rilancio del mandorlo. A partire dal 2015, saranno inoltre trapiantati mandorli da coltivazione superintensiva e non più estensiva come nelle colture tradizionali. Le nuove piante hanno bisogno di uno spazio inferiore (1,2 mt contro i minimo 6 delle colture tradizionali) e vengono collocate in file di siepi continue che permettono di automatizzare la raccolta con macchine semoventi guidate da un operatore in grado di raccogliere un ettaro in due ore.

Nuovi investitori. «Gli agricoltori tradizionali – conclude Vitelli – fanno fatica ad aderire a questo protocollo. Investire di questi tempi, dopo un lungo perido di ingessatura, non è facile. Abbiamo però ottenuto adesioni di nuovi investitori che non provengono dal mondo dell’agricoltura ma sono imprenditori edili, ad esempio, o professionisti che possedevano terre o che le hanno acquistate magari sfruttando delle agevolazioni finanziarie come quelle di Ismea che prevede un piano di rientro trentennale».

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