Agrumi, mamma li turchi!

«Quest’anno – ci spiega preoccupato al telefono Gerardo Diana, presidente della federazione agrumicola di Confagricoltura – il mercato è lento. La voce di tutto il comparto produttivo del sud Italia è una sola. I prezzi sono bassi».

Le prospettive. Il rischio è che quest’andamento lento si trasformi in un appesantimento eccessivo anche in considerazione delle ultime due vicende che riguarderanno da vicino l’export italiano di F&V nel futuro prossimo. Da un lato lo stop della corte di Giustizia Ue all’accordo commerciale con il Marocco e, dall’altro, con l’invasione temuta, dopo Capodanno, dei prodotti turchi in cerca di nuovi sbocchi di mercato a seguito del bando russo. «E non saranno problemi da poco – chiarisce Diana – perché son prodotti che rispetto ai nostri riescono a piazzarsi sul mercato a prezzi parecchio più competitivi».

Per avere una misura dell’esondazione commerciale temuta basti pensare che, nel 2013, la Turchia ha esportato in Russia agrumi per 374 milioni di dollari per una fornitura che è andata a coprire un quarto del totale delle importazioni russe di agrumi. Milioni di tonnellate.

La richiesta. Per questo, per la prima volta i rappresentanti del settore agrumicolo di Agrinsieme, ossia il coordinamento tra Cia, Confagricoltura, Alleanza delle Cooperative Agroalimentari e Copagri, si sono riuniti per approfondire la grave situazione in cui si trova il comparto e, in funzione della sua importanza strategica (80mila aziende che producono 4 milioni di tonnellate circa di agrumi l’anno) ha richiesto un incontro urgente al Ministro Martina.

Sarebbe il secondo sul tema agrumi, dopo quello ottenuto dal Distretto siciliano qualche settimana fa per parlare di piano agrumi e avrebbe come ulteriore obiettivo quello di trovare una quadra anche per le problematiche legate all’export con, all’ordine del giorno, oltre alla questione turva, anche – ad esempio, accordi euro-mediterranei, green corridor e rapporti con la Russia.

L’embargo alla Turchia. In tempi in cui da più angoli dell’Europa, e con molto vigore dalle regioni produttive spagnole, si spinge con forza per l’allentamento dell’embargo russo alle produzioni europee, il problema da fronteggiare subito è dietro l’angolo ed è l’invasione temuta di arance e clementine turche (per il momento limoni e pompelmi sarebbero fuori dalla lista di prodotti bannati) a partire dal primo gennaio 2016.

«I volumi turchi – ci spiega Diana – andrebbero ad appesantire un incremento produttivo interno del 30% rispetto all’anno scorso ma l’impatto peggiore si avrebbe sui prezzi visti i loro minori costi produttivi».

I rischi fitosanitari. Si teme anche l’ingresso di gravi fitopatie come Citrus black spot e Citrus greening che si registrano in alcune realtà produttive all’estero «che potrebbero trasformare un momento delicato come questo – ha rimarcato Secondo Scanavino, coordinatore di Agrinsieme – in cui le imprese agrumicole sono ancora alle prese con la gestione dei danni provocati dal cosiddetta ‘tristezza degli agrumi’, in una situazione catastrofica».

Per questo tra le richieste di Agrinsieme al ministro c’è anche «l’assegnazione del plafond aggiuntivo (dal reg. CE 1369/15) messo a disposizione dello Stato membro di 2mila tonnellate che potranno essere ritirate dal mercato ed inviate ad aiuti umanitari».

Il Marocco. Sull’accordo commerciale Ue Marocco, invece, messo al palo dalla Corte di Giustizia Ue perché, si legge nella sentenza «l’Unione Europea non ha il diritto di stipulare accordi commerciali con il Marocco su risorse che appartengono al Saharawi», in attesa di conoscere le decisioni che verranno prese entro i prossimi due mesi dai vertici comunitari, Diana torna a chiederne una revisione sostanziale anche in considerazione dell’importanza di questo flusso commerciale che 2014 ha comportato per l’export italiano F&V verso Casablanca, un volume di affari di oltre 30 milioni di euro. «Il fatto certo – conclude Diana – è che in questa situazione di difficile comprensione gli unici a pagare sono sempre e solo le popolazioni e gli agricoltori di frontiera».

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