Delta del Po, migliaia di ettari a rischio per il cuneo salino

Le esigue piogge cadute in questi giorni, dopo i lunghi mesi caratterizzati da sporadiche precipitazioni, non risolvono i problemi della scarsità di acqua dolce per l’irrigazione e nemmeno dell’aumento della salinità dei terreni, provocata dal risalire dell’acqua di mare lungo il Delta del Po, quando la portata è troppo bassa. Cia – Agricoltori Italiani Ferrara è preoccupata per un problema che si trascina da trent’anni, provocando danni ingenti alle colture e mettendo in ginocchio l’economia agricola del territorio. Secondo i dati del Consorzio di Bonifica Pianura di Ferrara, infatti, da novembre a marzo è caduta solo metà della pioggia attesa, e guardando solo il primo quadrimestre del 2019 la situazione è ancora più tragica, perché le piogge si riducono a poco più di un terzo della media stagionale.

Occorre un intervento urgente

“Siamo arrivati a un punto tale di esasperazione – spiega Stefano Calderoni – presidente provinciale di Cia Ferrara – che non importa più quale opera verrà realizzata per risolvere il problema del cuneo salino e preservare l’acqua dolce. Basta che qualcosa si faccia e in fretta perché decine di migliaia di ettari sono a rischio. È dagli anni ’90 che se ne parla e ora siamo arrivati al limite e la politica deve intervenire o assumersi la responsabilità di condannare un intero territorio. Vorremmo che gli amministratori a tutti i livelli la considerassero una questione ambientale prioritaria, perché le aziende agricole sono stanche di vedere la loro capacità di reddito continuamente minacciata da questo fenomeno. Una salinità dell’acqua che supera l’1,5-2%, infatti, rende dannoso irrigare le colture e provoca la salinizzazione delle falde, altro fenomeno certamente preoccupante per l’intero ecosistema ambientale.”

L’area è a rischio di abbandono da parte degli agricoltori

“Siamo consapevoli che la creazione di bacini idrici nel Delta che impedirebbe all’acqua di mare di risalire lungo il fiume – continua Calderoni – sarebbe un’opera efficace ma delicata, perché non si deve alterare il microclima del fiume. Ma altre soluzioni possibili ci sono e sono state già analizzate. Penso, ad esempio, alle barriere antisale, testate dal 1985 al 1987 sul Po di Gnocca del Delta e poi sul canale di Taglio in Veneto, che si sono dimostrate efficaci. Queste barriere mobili – che non bloccherebbero completamente l’alveo del fiume – garantirebbero il regolare deflusso delle acque, la navigazione, il flusso migratorio delle specie ittiche e quindi risponderebbero a tutte le esigenze ambientali, agronomiche ed economiche, non avendo alcun effetto sulla pesca. Ma non è nostro compito – conclude Calderoni – entrare nel merito tecnico rispetto al tipo di intervento da realizzare, anche se siamo naturalmente disponibili a un confronto. Sono i politici che devono trovare una soluzione efficace e al più presto possibile, perché il problema non può essere ancora ignorato. Il rischio, infatti, è che i cambiamenti climatici che stanno rendendo non solo le estati ma anche gli inverni sempre più secchi, finiscano per portare gli agricoltori ad abbandonare alcune zone del nostro territorio perché improduttive”.

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