Le arance italiane volano in Cina, vittoria o cavallo di Troia?

Ecco cosa pensano alcuni protagonisti del settore agrumicolo nazionale sul via libera alle spedizioni di arance italiane in Cina via aereo

Passi in avanti sull’export di arance italiane in Cina. O bisognerebbe invece guardarsi da un cavallo di Troia che potrebbe a sua volta invadere le frontiere nazionali ed europee con prodotto cinese? Considerata la crescita produttiva decisamente più accelerata negli ultimi anni e il potenziale gigantesco ancora inespresso del Paese del Dragone, non solo per le arance, è una domanda lecita. Anche perché non dimentichiamo che sovente proprio le arance siciliane faticano ad arrivare persino a Milano, per questioni di prezzi e di costi.

Il via libera alla modifica al protocollo sul trasporto rivelato dal vice-premier Di Maio durante la sua visita in Asia, ma non ancora firmata dal ministro per le Politiche agricole Gianmarco Centinaio, consente al prodotto italiano di essere spedito in Cina per aereo e non solo per nave. Vale a dire un giorno di viaggio o poco più in volo contro i 40-50 giorni del trasporto su nave.

Un obiettivo export quello in Cina che se da una parte è stato a lungo sollecitato da alcuni produttori agrumicoli che hanno interesse ad arrivarci, dall’altra potrebbe invece, secondo altri, trasformarsi in un boomerang e preludere a massicce invasioni di prodotti cinesi in Italia, proprio come sta accadendo in altri settori.

 

L’iter per spedire le arance italiane in Cina

L’apertura formale della Cina alle arance italiane risale al 2017, ma di fatto le esportazioni dal nostro Paese, consentite solo via nave, erano rimaste bloccate perché 40-50 giorni di nave non avrebbero consentito di spedire a destinazione un prodotto con caratteristiche ineccepibili.

“Tutto quello che ci dà la possibilità di arrivare sul mercato cinese – sostiene Marco Salvi, presidente di Fruitimprese, l’associazione italiana degli esportatori e importatori di ortofrutta – deve essere visto come un’opportunità: la spedizione via aerea presenta ovviamente un costo elevato ma si tratterà di nicchie ad elevato valore aggiunto per far conoscere le eccellenza agrumicole italiane ai consumatori cinesi. Non è escluso poi che si possa arrivare ad aumentare i volumi e a ridurre i tempi di trasporto, ad esempio attraverso la ferrovia lungo la via della seta o magari a diminuire i transit time del carico in nave magari riempendo la nave solo di ortofrutta magari con prodotti diversi, arance e kiwi ad esempio”.

 “Non dimentichiamo – ha aggiunto Salvi –  che manca ancora la firma ufficiale da parte del nostro Mipaaft e delle autorità cinesi. Confidiamo che il protocollo venga firmato al più presto da entrambe le parti”.

Partendo dalla considerazione che l’arancia diretta in Cina avrebbe dovuto eccellere sul piano della qualità anche per permettersi un aggravio di costi (di trasporto), l’iter di approvazione del prodotto italiano è iniziato dallo scorso anno: alcune aziende interessate hanno già superato numerosi test effettuati dagli ispettori cinesi e altri esami sono ancora in corso.

Si parte dall’analisi dei terreni fino alle modalità di coltivazione per arrivare fino al prodotto e al suo trasporto in base a standard stabiliti dalle autorità cinesi. Gli ultimi test effettuati nel febbraio scorso avevano comunque dato esiti positivi e fatto ben sperare gli esportatori agrumicoli italiani.

 

Pannitteri, Op Rosaria: “Importante aprire un canale” 

“Come Op – ha commentato Aurelio Pannitteri, presidente dell’Op Rosaria, marchio affermato delle arance italiane prodotte in Sicilia e che rappresenta 300 mila tonnellate di agrumi – abbiamo già avviato le procedure per esportare in Cina e sono stati eseguiti numerosi controlli sui terreni e sulle piante. Per nave le arance bionde avrebbero impiegato 40 giorni, mentre per via aerea da un giorno all’altro potrebbero arrivare a destinazione. E’ difficile ora prevedere quanto si potrebbe esportare in Cina, ma è comunque importante aprire il canale per poter programmare la prima fornitura”.

 

La minaccia delle arance cinesi 

Di diverso avviso Salvatore Rapisarda, presidente di Euroagrumi per il quale arrivare in Cina potrebbe rivelarsi, per reprocità, un cavallo di Troia piuttosto che una vittoria. “Siamo interessati – ammette – ma come valore simbolico più che economico, perché servirà a mettere una bandierina sul mercato cinese. Non sono quelli però – avverte – i mercati che possono dare veramente sfogo alle nostre produzioni”.

L’arancia decora il capodanno cinese

Siamo anzi preoccupati – rimarca Rapisarda, perché i cinesi hanno un enorme potenziale di produzione e hanno investito molto negli ultimi anni. I cinesi possono in realtà aprire un varco al contrario ed esportare le loro arance in Europa. In Cina stanno coltivando anche arance rosse e quando un colosso si mette in movimento può diventare un temibile competitor. In quanto all’Italia si tratterebbe di spedire in Cina quantitativi veramente esigui”.

Secondo il numero uno di Euroagrumi il settore agrumicolo italiano avrebbe invece la necessità partire alla conquista di mercati più vicini, nel Vecchio Continente: “L’Europa ha un potenziale di crescita triplo in termini di consumi. Guardiamo a Paesi come la Germania, la Francia, il Belgio e l’Inghilterra sui quali abbiamo investito ma potremmo in futuro rischiare di vederci soffiare quote di mercati di altri Paesi anche extra-Ue, Cina compresa. Senza contare, fa notare ancora Rapisarda, il conto dell’impatto ambientale: quanto costerà, allora. esportare dall’Italia alla Cina?

 

La Germania il primo mercato export degli agrumi italiani

La maggior parte degli agrumi italiani raggiunge ovviamente mercati molto più vicini: nel caso delle arance, secondo i dati del Cso Italy, le principali destinazioni sono Germania, Francia, Austria e Svizzera. Sono piuttosto limitate al momento le vendite in Paesi extra Ue e in Nord America. Nel caso delle clementine il primo mercato è la Polonia seguito da Germania e Francia.  Poco è il prodotto che arriva nei Paesi Terzi, come ad esempio in Albania. Nel caso di limoni e mandarini le vendite export sono ancora molto basse (rispettivamente circa  35mila e 8mila tonnellate) e oltre il 90% vengono realizzate nell’Ue.

 

 

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