Ttip, dagli Usa apertura su Dop e Igp

Paolo De Castro

Gli Stati Uniti aprono alla tutela del made in Italy. È questa l’impressione raccolta dall’europarlamentare Paolo De Castro, relatore per il Ttip della Commissione Agricoltura, al termine della missione politica di una delegazione del Parlamento europeo a Washington di inizio novembre.

L’apertura americana sulle ipotesi di tutela delle origini geografiche, potrebbe dare un nuovo impulso ai negoziati che dopo tre anni e undici round, l’ultimo a Miami a fine ottobre, non avrebbero portato alla convergenza neanche sul tema delle barriere tariffarie. In questo modo l’obiettivo di arrivare a un’intesa entro un anno si avvicina, ma rimane ancora arduo anche in considerazione dello slittamento a febbraio del prossimo incontro previsto per dicembre.

Se non si riuscisse a chiudere l’accordo entro il 2016, il trattato rischierebbe di saltare, anche perché quattro tra i principali membri dell’Unione (Francia, Germania, Gran Bretagna e Italia) andranno a elezioni tra 2017 e 2018 e difficilmente i candidati premier accetterebbero di esporsi sul Ttip, considerato il forte ostruzionismo popolare di cui è oggetto.

Onorevole De Castro, quali sono le sue impressioni dopo l’incontro con i rappresentanti del Congresso?

«L’impressione è quella di un’apertura americana per un accordo che eviti il “misleading” ossia la confusione del consumatore americano sull’origine dei prodotti. Abbiamo sottoposto al Congresso una serie di ipotesi tra cui la proposta di eliminare ogni forma di evocazione del made in Italy in etichetta, come ad esempio la bandiera italiana o i nomi delle città e di indicare espressamente l’origine, made in Usa sui prodotti “italian sounding”. Dalla nostra abbiamo come alleato il consumatore americano che chiede trasparenza al riguardo. Sono ipotesi verso le quali la delegazione americana ha manifestato apertura».

Però intanto i negoziati sono fermi alle barriere tariffarie…

«L’incontro politico di Washington è servito proprio a questo, ad aprire nuove strade per offrire nuovi strumenti ai negoziatori. Noi speriamo di poter cambiare l’atteggiamento americano nei confronti di una serie di barriere non tariffarie verso le produzioni europee. Il tema è già stato affrontato e rappresenta uno dei tre punti cardine del negoziato insieme alle barriere tariffarie e alla tutela delle origini. Ma è un discorso delicato anche per la sua ambivalenza, dal momento che anche gli Usa, per parte loro, ci chiedono di abbattere le nostre barriere fitosanitarie che ostacolano l’ingresso ai loro prodotti. Tutti gli interessi in gioco vanno adeguatamente bilanciati per trovare un punto d’incontro».

In che modo la chiusura dell’accordo Tpp tra Stati Uniti e 11 Paesi del Pacifico potrà influenzare le trattative per l’intesa trans-atlantica?

«È servito a dare un’accelerata ai negoziati. L’idea di Obama è quella di arrivare alla firma prima della fine del suo mandato. In questo senso abbiamo riscontrato una precisa volontà statunitense di concentrare l’attenzione sul fronte Atlantico. Del resto quest’accordo rappresenta un’occasione per gli europei per non rimanere fuori dai giochi».

In che senso?

«Raggiungere un’intesa sul Ttip significa riuscire a condizionare un terzo dei mercati mondiali. Significa condividere con gli Usa degli standard, avere quindi un potere di influenza e riuscire a entrare nel gioco dei commerci mondiali. Una carta da giocare, insomma. Ma se non chiudiamo l’accordo non avremo neanche quella. Se l’intesa non si raggiunge, inoltre, il rischio è quello di dover sottostare a standard commerciali che non abbiamo neanche contrattato: quelli individuati con i Paesi emergenti dell’area del Pacifico. Ma il testo di quel trattato non è ancora stato divulgato. Aspettiamo la ratifica da parte del Congresso Usa per conoscere il contenuto nei dettagli».

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