Quasi sei italiani su dieci mangiano cibi scaduti

Nell’ultimo anno sei italiani su dieci (59 per cento) hanno mangiato cibi scaduti. È quanto emerge da un sondaggio on line condotto dal sito di Coldiretti sugli effetti della crisi sui consumi delle famiglie.  In particolare – sottolinea l’associazione di categoria – ben il 34 per cento dei rispondenti ha ammesso di portare in tavola alimenti fino a una settimana dopo la data di scadenza, mentre ben il 15 per cento li ha mangiati anche dopo un mese e l’8 per cento anche oltre; addirittura, c’è un 2 per cento che non guarda mai la data di scadenza.

In generale, consumare prodotti alimentari scaduti può esporre – sottolinea la Coldiretti – a rischi rilevanti  per la salute, mentre – nel migliore dei casi –  significa portare in tavola alimenti che hanno perso le proprie caratteristiche di gusto o aroma, ma anche nutrizionali. Ad esempio per lo yogurt, che dura 1 mese, il prolungamento di 10-20 giorni non altera l’alimento, ma riduce il numero dei microrganismi vivi, mentre al contrario per i pomodori pelati quasi tutte le confezioni riportano scadenze di 2 anni anche se la qualità sensoriale è certamente migliore se si consumano prima.

Il consumo di cibi scaduti – sostiene la Coldiretti – conferma gli effetti negativi della crisi sulla qualità dell’alimentazione degli italiani, che hanno dovuto tagliare la spesa, ridurre gli acquisti di alimenti indispensabili per la dieta e rivolgersi a prodotti low cost. Ad aumentare, infatti, sono solo le vendite di prodotti alimentari low cost nei discount, che sono gli unici a segnare un incremento nel corso del 2013 (+1,7 per cento) mentre gli acquisti alimentari degli italiani sono diminuiti complessivamente del 3,9 per cento.

Il sondaggio riaccende anche i riflettori su un problema normativo: attualmente solo pochi alimenti hanno una scadenza prestabilita dalla legge come il latte fresco (7 giorni) e le uova (28 giorni). Per tutti gli altri prodotti la durata  viene stabilita autonomamente dagli stessi produttori, in base ad una serie di fattori che vanno dal trattamento tecnologico alla qualità delle materie prime, dal tipo di lavorazione e di conservazione per finire con l’imballaggio. Per questo, non è difficile, durante un controllo commerciale, vedere due prodotti simili, ma di marchio differente con data di scadenza diversa. È infatti compito di ogni singola azienda effettuare prove di laboratorio sui propri prodotti, per misurare la crescita microbica e valutare dopo quanti giorni i valori organolettici e nutrizionali cominciano a modificarsi in modo sostanziale. Il risultato è ad esempio che –  continua la Coldiretti – per l’olio d’oliva extra vergine alcune aziende  consigliano il consumo entro 12  mesi, altre superano i 18, con il rischio di perdere le caratteristiche nutrizionali e di gusto, secondo studi del dipartimento di Scienze e tecnologie alimentari e microbiologiche dell’università di Milano.

Se questo articolo ti è piaciuto e vuoi rimanere sempre informato iscriviti alla newsletter gratuita.

LASCIA UN COMMENTO

Inserisci il tuo commento
Inserisci il tuo nome