Canada, ortofrutta Vs petrolio

Un cetriolo a tre dollari canadesi, un chilo di pomodori a quasi 4 dollari, 15 dollari per un sacchetto di pompelmi. Il collasso del dollaro canadese, legato all’andamento del prezzo del petrolio, ha creato, già dal mese di settembre scorso, una spinta inflattiva sui prezzi che sta facendo tremare tutto il mercato dei prodotti ortofrutticoli freschi del Paese legato, per la maggior parte, dai prodotti importati da tutto il mondo.

Lo rivela una nota dell’Ice di Toronto diffusa questa mattina che parla di vero e proprio «incubo da scaffale per gli acquirenti di prodotti freschi».

Il punto. Il guaio deriva dal fatto che in Canada – che importa più di tre quarti del fabbisogno nazionale di frutta e verdura – il valore basso del loonie, il dollaro canadese, si trasforma in una vera mina vagante pronta ad esplodere. È l’esplosione dovrebbe essere imminente se, stando alle previsioni degli esperti, la stagnazione del prezzo del petrolio continuerebbe ancora nei prossimi mesi.

«Tutti i canadesi – precisa la nota dell’Ice – , e non solo quelli del nord, stanno pagando lo scotto dell’inflazione a due cifre sui prezzi nei supermercati. Per l’ente statistico del Paese l’incremento del prezzo di frutta fresca è stato del 12,4% rispetto alla fine del 2014, mentre per le verdure del 14,4%».

I prezzi per i prodotti alimentari acquistati presso i negozi sono aumentati anno su anno del 4,1% nel mese di dicembre, e del 3,7% del mese precedente.

Il paradosso. La situazione è arrivata ad un punto paradossale perché se da un lato il dollaro canadese basso aiuta i produttori nazionali di petrolio perché permette loro di mantenere attive le aziende (posto che l’anno scorso nel settore sono stati tagliati circa 100mila posti di lavoro), dall’altro rischia di strozzare il sistema di approvvigionamento agro-alimentare anche perché infuisce negativamente sulla fiducia dei consumatori e quindi sulla spesa.

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