Lo scandalo italiano del pomodoro “taroccato”

Torna alla ribalta il problema del sugo di pomodoro made in Italy “taroccato” con la denuncia lanciata nel corso dell’ultima puntata della trasmissione televisiva le Iene.

La questione. Il servizio riaccende i fari sul problema dell’import dalla Cina di concentrato di pomodoro che alcune aziende utilizzerebbero per confezionare poi prodotti a marchio made in Italy.

L’ennesimo scandalo mediatico sulle truffe “made in…”, che arriva fresco fresco subito dopo lo scoppio della bolla dei certificati verdi truccati da Volkswagen e piomba nel bel mezzo delle trattative sugli accordi di libero scambio (“fast track”) tra Usa e Europa (ttip) da un lato e, dall’altro, tra Usa e alcuni grandi Paesi produttori del Pacifico come Cile, per dirne alcuni, Singapore, Nuova Zelanda, Australia o Perù (Ttp).

I numeri. Secondo il servizio delle Iene, l’azienda intervistata importerebbe da sola ogni anno in Italia qualcosa come 120mila tonnellate di concentrato di pomodoro.

«Bisogna tenere presente – ci ha spiegato Francesco Mutti, presidente di Aiipa Pomodoro nonché amministratore delegato di Mutti Spa – che le aziende italiane che utilizzano semilavorato di altri Paesi tra cui la Cina, rappresentano un numero molto limitato. Secondo i nostri dati sarebbero una decina su 130 aziende operanti in Italia. Questo tipo di import è legato per la stragrande maggioranza dei casi a un flusso di scatole di sugo di pomodoro che viene lavorato in Italia ma che poi riparte verso altre destinazioni, come ad esempio, i mercati africani. Se devo parlare per la mia azienda devo precisare che noi non importiamo pomodoro ma usiamo solo quello dei nostri produttori tutti rigorosamente italiani».

L’import temporaneo. Secondo un indagine del Sole 24 Ore, le importazioni temporanee (ossia di prodotti che, subito dopo la lavorazione in Italia, verranno riesportati) rappresentano il 70,8% del totale delle importazioni di pomodoro preparato o conservato. Si tratta di un quantitativo che, sempre secondo questa indagine che prende in esame dati del 2010, rimarrebbero in Italia 50mila delle oltre 150mila tonnellate di merce importata.

«Denunce come quella fatta ieri dalle Iene – ha spiegato Giorgio Mercuri, presidente di Fedagri-Confcooperative – hanno senso se si traducono in un aiuto per gli inquirenti che combattono le frodi. Sparare a zero sulla categoria non aiuta nessuno, men che meno il made in Italy. Posso capire che per ragioni di opportunità non siano stati fatti i nomi delle aziende coinvolte in questi commerci illeciti, ma credo che sia giusto che questi nomi vengano messi a disposizione delle autorità.

Del resto si può immaginare che per mettere in piedi un sistema di commercio illegale del genere occorre che siano coinvolti anche alcuni produttori oltre ai trasformatori dal momento che l’industria deve giustificare ogni quantitativo di prodotto trasformato dall’ingresso di un corrispondente quantitativo di prodotto fresco ovvero già trasformato».

I controlli. In realtà che i controlli sulle merci che entrano nell’Unione europea non siano così stringenti è un problema che attanaglia la categoria da sempre. Se, da un lato, abbiamo delle difficoltà ad esportare ortofrutta in alcuni Paesi, tra cui proprio la Cina, a causa della mancanza di accordi bilaterali oppure della presenza di accordi che impongono ai produttori italiani paletti rigidissimi; dall’altro lato non accade lo stesso al contrario. Per lo meno questo è quello che denuncia la maggior parte degli operatori europei.

«Non si lavora così – ha precisato Enrico Barone, direttore assicurazione qualità Conserve Italia che con il marchio Cirio sta entrando nel mercato statunitense con una linea di prodotti 100% made in Italy grazie all’accordo con il distributore Colavita – mettendo a rischio tutto il business italiano. La maggior parte delle aziende lavora bene. I disonesti ci sono dappertutto. Per quanto riguarda Conserve Italia, che essendo una cooperativa può comprare prodotto solo ed esclusivamente dai suoi produttori associati, oltre ad avere adottato il sistema di tracciabilità della materia prima imposto dalla legge ha deciso di dotarsi delle certificazioni International Food Standard e British Consortium Retail che comportano almeno un audit di alcuni giorni, ogni anno per ciascuno stabilimento. Controlli che si aggiungono a quelli messi in atto dalle istituzioni preposte come l’asl, i Nas o l’Antifrode che comportano una media di circa 5 check per stabilimento all’anno».

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1 commento

  1. Magione 2/10/2015.Buonasera.
    Ho seguito la puntata delle Jene.E’ così dfficile conoscere le dieci
    aziende che importano il cd “Concentrato” di pomodoro dalla CINA??? Cosa si nasconde dietro questa negazione.Le ditte se non hanno nulla da temere,potrebbero,essere esse stesse a dichiarare la loro professionalità??? Capita spesso di leggere nelle confezioni che il prodotto è stato “CONFEZIONATO” da
    tale ditta.Chi l’ha prodotto!!! Alla mia età cerco di coltivare il
    prodotto che poi lo trasformo in passata o in concentrato.Assicuro che con quello che spendo per tutto questo il costo vi assicuro che è cento volte superiore alla confezione che acquisto al Supermercato!!!Cordiali saluti

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