L’anguria è il frutto più consumato al mondo

Con circa 95,5 milioni di tonnellate consumate nel mondo (il 15% del totale del consumo di frutta), l’anguria è il frutto più consumato del pianeta.

Lo rivela uno studio condotto da Hazera, breeder olandese del gruppo multinazionale Limagrain (secondo al mondo dopo Monsanto, con 2 miliardi di euro di fatturato l’anno) che è presentato nel corso di un incontro tecnico con i produttori della zona di Tarquinia organizzato dall’azienda Vilmorin anch’essa partner di Limagrain e tenutosi lo scorso 22 gennaio.

Il consumo. Secondo in dati emersi il consumo globale di anguria è addirittura superiore a quello della banana (di cui se ne consumano 86 milioni di tonnellate, il 14% della domanda globale di frutta); mela (65,4 milioni di tonnellate pari all’11%); arancia (64,7 milioni di tonnellate pari al 10%); uva (63,3 milioni di tonnellate, 10%) e del melone (26,4 milioni di tonnellate pari al 4% del consumo globale).

«I risultati della nostra ricerca – ci ha spiegato Mark Van Der Zouwen, product manager anguria di Hazera che è anche il principale sviluppatore di varietà senza semi – ci hanno stupito perché ci hanno dimostrato una grande crescita nel mercato mondiale di questo prodotto legata, principalmente alla progressiva crescita demografica».

Prospettive. In tal senso allora, considerate le tendenze demografiche (in aumento,), si tratta di un mercato destinato a crescere ulteriormente posto che si prevede che la popolazione mondiale, attualmente circa 7 miliardi di individui è destinata a raggiungere quota quasi 10 miliardi nel 2050.

I mercati dove si assiste ad una crescita demografica maggiore sono quelli africani dove la popolazione va a raddoppiare nei prossimi 30 anni (da 1,1 a 2,4 miliardi); quelli americani (+25%, da 972 milioni a 1m2 miliardi) e quelli asiatici (+20% della popolazione da 4,3 a 5,2 miliardi di abitanti). Mentre una sostanziale stagnazione demografica si prevede per l’Europa, dove la popolazione tende a diminuire, e l’Oceania (+30 milioni di abitanti da qui al 2050).

Le varietà. «Tendenzialmente – continua Van Der Zouwen – i mercati più maturi come ad esempio quelli nord americani e quelli del nord Europa, tendono a preferire le varietà di anguria senza semi mentre le varietà con i semi sono preferite nei mercati meno sviluppati o che hanno una grande tradizione agroalimentare, come ad esempio l’Italia o anche il Marocco».

Le varietà preferite dai consumatori variano da Paese a Paese e, in questa direzione, è la Spagna che ha storicamente saputo strutturate il proprio comparto produttivo in maniera tale da potere intercettare, con la diversificazione dell’offerta e della logistica, quanti più mercati possibili arrivando a conquistare il posto di primo esportatore europeo con 600 tonnellate commercializzate nell’Unione durante la stagione estiva, quasi tutte senza semi.

I trend. «Le tendenze del mercato – precisa Van Der Zouwen – ci rivelano che l’anguria senza semi si sta sempre di più diffondendo dal momento che tra le caratteristiche su cui il consumatore si sofferma maggiormente spicca innanzitutto la dimensione piuttosto che la presenza o meno di semi. Quelle senza semi di solito sono anche più piccole, facili da trasportare e da consumare. Sono tipologie molto apprezzate, ad esempio, dal mercato nord americano o anche nord europeo».

La vera competizione sull’export europeo, anche se tra “piccoli”, si gioca tra Grecia e Italia soprattutto perché gli agricoltori greci beneficiano di aiuti governativi che gli italiani non hanno ma anche perché puntano entrambi, fra gli altri, a due mercati molto strategici ossia quello interno italiano e quello tedesco.

I player. Sullo scenario globale, invece, Cina (con più di 200mila ettari), Iran (poco meno di 150mila), Russia (circa 130mila), India e Turchia (circa 100mila ettari) sono i cinque principali produttori in termini di superfici coltivate . Per avere una misura si pensi che l’Italia ne ha 12mila. Nel caso della Russia l’elevato numero di ettari piantati ad anguria dipende dal fatto che a quelle latitudini la produttività delle piante è ridotta anche della metà.

Tra i produttori in contro-stagione, nel corso dell’ultima stagione, si è ritagliato uno spazio un nuovo Paese, ossia il Senegal che ha mandato i primi quantitativi di prodotto (2-3mila tonnellate, da aprile a maggio) verso Regno Unito, Olanda e in genere nord Europa. Cresce sempre più la presenza sui mercati internazionali del Marocco che copre l’offerta da aprile a maggio.

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