Argentina, ok al consumo umano di patate Ogm

La decisione del ministero dell’agricoltura argentino è arrivata a seguito degli studi condotti da un gruppo di scienziati del Paese che si sono protratti per alcuni anni.

Il via libera. Dallo scorso 7 ottobre il governo argentino ha detto ufficialmente si al consumo diretto da parte della popolazione di patate transgeniche.

In Argentina già da venti anni erano state introdotte altre varietà Ogm (in tutto 32) ma, fino ad oggi, nessuna era stata destinata al consumo umano diretto trattandosi per lo più di varietà di soia, cotone e mais e forse anche per questo la loro introduzione non aveva creato grande scompiglio presso la popolazione.

Il provvedimento governativo dei giorni scorsi, pubblicato nel bollettino ufficiale nazionale, che autorizza la messa a dimora e la vendita oltre che della patata Ogm anche di una varietà di soia resistente alla siccità, è considerato come un successo che la presidente uscente, Cristina Kirchner, voleva incassare a tutti i costi per chiudere in bellezza quello che è stato definito un mandato dal forte imprinting scientifico e tecnologico.

I brevetti. «Si tratta di due prodotti – si legge in una nota ufficiale del ministero dell’agricoltura argentino – che saranno fondamentali per l’economia del Paese in diversi settori del territorio nazionale e permetteranno una maggiore competitività sui mercati internazionali».

Oltre a Buenos Aires, nella lista dei Paesi che sviluppano biotecnologie agricole rientrano anche il Brasile (con 1 prodotto), Cuba (1), l’Indonesia (1), la Cina (5) e gli Stati Uniti con più di 40 prodotti Ogm.

La patata transgenica made in Argentina ritenuta idonea per il consumo umano ha la particolarità che è resistente al virus PVY, uno dei più comuni per questo tipo di coltivazione ed è stata sviluppata da Conicet (co-titolare anche del brevetto della soya resiste alla siccità) in collaborazione con Tecnoplant che si è già affrettata a dichiarare –secondo alcune fonti aziendali (anche per raffreddare possibili polemiche) che «non c’è fretta per la commercializzazione del tubero transgenico i cui semi non saranno messi in vendita prima di due anni».

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